— 418 — del Borbone, nuotava nel sangue. Nella bella terra napoletana il patibolo ed il carcere erano all’ ordine del giorno. Ed a tante sventure, a tanti delitti dall’ alto del Vaticano il restaurato Pontefice benediceva. Sembrava che l’Italia fosse spenta per non più risorgere. Solo in un canto della Penisola, circondato dalle alpi che gli fanno corona, dopo tanti lutti e tante sventure, conservavasi nel Piemonte lo statuto che' il magnanimo Carlo Alberto avea largito. Vittorio Emanuele, novello re, lo mantenne inviolato e la bandiera italiana sventolava gloriosa in quella terra, regnando la schiatta più nobile e più eroica che abbia seduto su d’ un trono. Da quel giorno il Piemonte fu il faro brillante dell’ avvenire, la speranza degli oppressi. In Europa tutto era tranquillo sotto le antiche dinastie. L’ Ungheria, prostrata dalle armate dei due imperi d’Austria e di Russia, mandava i suoi ultimi aneliti. La Francia, sola potenza che avesse un governo il di cui nome significar dovea libertà-eguaglianza-fraternità, era caduta in mano di un’ assemblea retrivo-gesuitica, che adoperavasi a schiacciare le risorte popolazioni, assistendo impassibile all’ agonia di quelle che resistevano tuttora. L’Inghilterra, tuttoché con maggiore lealtà non avesse mai dato una lusinga, nelle convulsioni del mondo non mirava ad altro che al proprio vantaggio. Fu quella un’epoca di fango e di vituperio: altrove volgiamo lo sguardo, per non contristarlo in tanta miseria. Tale era la condizione dell’ Europa in luglio ed agosto 1849 ; e Venezia lo sapeva. Era cura speciale del console inglese e dei suoi aderenti informare la popolazione del