— 59 — Difatti, il giorno 23, dopo die il patriarca ebbe benedetta la risorta repubblica, Mengaldo proclamava a presidente di essa Daniele Manin, a membri del nuovo governo il Tommaseo, il Paolucci, il generale Solerà, Castelli, Paleocapa, Pincherle e TofToli, distinto operaio, che, per imitare Parigi, volevasi aggiungere al ministero. Così, con poco sangue versato, pel mirabile accorgimento di chi diresse il movimento popolare, si compieva una memorabile rivoluzione, che rivendicava 1' onore della città delle lagune, compromesso dai degeneri patrizi nel 1797. Dagli storici contemporanei fu assai biasimata, come intempestiva e dannosa, la forma di governo che Manin credette necessario proclamare il 22 marzo. Ma, per darne un adeguato giudizio, crediamo si debba tener conto delle circostanze, nelle quali trovavasi allora Venezia. Da sei dì in rivoluzione, senza notizie dal di fuori per le interrotte comunicazioni, ignorava l’eroica lotta di Milano, di cui la novella le venne solamente il dì 24 recata dal Dall’Ongaro. Le altre provincie del Veneto, intente a scacciare gli Austriaci, pensavano a sé stesse, ed agivano tutte per proprio conto: finalmente fra la Lombardia ed il Veneto nessun piano prestabilito. La rivoluzione prorompeva in ogni dove nello stesso momento, quando seppesi che Vienna sorgeva essa pure in armi. A Venezia, vincitrice il 22 marzo, conveniva stabilire senza dimora un governo il più omogeneo al paese, e la repubblica ricordava a quel popolo quattordici secoli di possanza e di gloria. In Venezia ogni monumento, ogni pietra parlano della passata grandezza. Dovevano forse i Veneziani darsi ad un re? E a quale? Sapevasi forse allora che Carlo