— 411 — Un vecchio bersagliere, che trovavasi a quella battaglia, narrò il seguente fatto. Giunto colla sua compagnia, ch’era stata di scorta al generale De Sonnaz, al disopra di Colà, e fatta sosta mentre da un lato si accomodava il terreno per alcuni pezzi da posizione, poco lontano da questi vide un giovane generale, che, appoggiato alla groppa di un bellissimo destriero, discorreva famigliarmente con alcuni ufficiali. Gli Austriaci stavano schierandosi sulle alture opposte. Un colpo di cannone lanciato da essi contro le nostre colonne che avanzavano, diede il segnale del combattimento. Senza scomporsi quel giovane, che per la prima volta trovavasi al fuoco, rivolgendosi ai suoi ufficiali e con piglio disinvolto e risoluto: Signori, disse, comensa la musica; andòma. Saltò a cavallo e si mise alla testa delle sue truppe. Era quegli il duca di Savoia, che poche settimane dopo a S. Lucia, a Goito e nelle pianure di Gonfardine era già veterano di guerra, ed oggi è re d’Italia. Mentre combattevasi a Pastrengo la guarnigione di Peschiera tentava una sortita, che fu vigorosamente respinta. Questi successi e le speranze di aiuto per parte dei Veronesi indussero il vincitore ad imprendere cose di maggiore rilievo contro le fortificazioni di Croce Bianca, di San Massimo e di Santa Lucia, le quali superate, forse Verona poteva cadere in mano degl’italiani. A questo scopo Carlo Alberto raccolse gran parte del suo esercito, lo divise in tre colonne, e dispose perché, la mattina del 6 maggio, le tre posizioni nemiche fossero contemporaneamente assalite. Fu errore, biasimato da tutti gli uomini d’arte, lo spingere a veri assalti tutte le forze piemontesi contro posizioni fortissime, quando invece dovevasi restringere l’attacco po- /