— 430 — Appena Radetzky seppe che il corpo d’ armata, tanto atteso, era giunto a Sanbonifacio, e che Vicenza avea resistito vittoriosamente all’ attacco delle sue truppe, premendogli assai di avere libera quella strada, che meglio di qualsiasi altra lo univa alle provincie tedesche, ordinava a La Tour di retrocedere con 19,000 uomini e numerose artiglierie, di assaltare nuovamente la città e rendersene ad ogni costo padrone. Obbediva La Tour, e, quantunque accompagnato nella sua marcia da pioggia dirotta, giunse il 23 sul torrente Dioma allora ingrossato a dismisura. Trovato distrutto il ponte, lo faceva ricostruire sotto il fuoco continuo degli avamposti italiani. Passato oltre, accampava a breve distanza dalla città, cominciando nella notte dal 23 al 24 a scagliarvi dentro granate e razzi per produrvi guasti ed incendi. A nulla però riuscito il tentativo, nel mattino seguente, alle ore 9 ant., dispose le sue colonne ed ordinava 1’ assalto delle posizioni nemiche. Vicenza era presidiata da più di 12,000 uomini condotti dal Durando, dai mille inviati da Venezia e da altri 4000 fra volontari veneti e cittadini armati, in tutto circa 17,000 combattenti, dei quali una buona metà, se inferiori di molto per istruzione e disciplina agli Austriaci, li superavano di ardore e di coraggio. La sicurezza della città riposa principalmente sul possesso dei colli Berici, che sorgono alla sua sinistra, tutti sparsi di case e di ville, altrettante fortezze se occupate da difensori animosi. Queste alture dominando la sottostante città, qualsiasi difesa diviene a questa inutile, se quelle cadono nelle mani del nemico. Al piano dove ergesi Vicenza le strade ed i sobborghi furono solidamente abbarrati, e