VII PRESA DI TRIPOLI Ma gli equipaggi attendevano soltanto l’ordine di sparare; il messaggio dilatorio dell’ammiraglio al governo di Roma fece allibire ufficiali e marinai. Cagni, furioso, incontrò Borea in batteria: fra sfoghi d’ira i due si consultarono finché Borea decise di avvertire Fara velli che la sola divisione navi-scuola avrebbe potuto sbarcare ottocento uomini. Era uno spunto offerto al capo responsabile per trarlo dall’incertezza ed indurlo ad agire. Il tentativo riuscì: dalla “Benedetto Brin” Faravelli fece subito chiedere a tutti i comandanti quali forze avrebbero potuto sbarcare pur mantenendo le navi in piena efficienza di combattimento. Quindi venne personalmente a bordo dell’ “ Umberto” per dichiararsi non soltanto pentito della comunicazione fatta a Roma, ma deciso a rimediare. Parlò con Borea, poi fece chiamare anche Cagni il quale non perse tempo ed assunse in quell’istante decisivo la sua parte naturale di promotore. « Mi sono permesso di esprimere il mio avviso: che venuti per prendere a viva forza Tripoli, ora che quasi ce l’offrivano, non potevamo decentemente temporeggiare a riceverla. Che noi, con tutte le navi e con quelle di imminente arrivo, potevamo mettere facilmente a terra oltre duemila uomini. Che servendoci delle siluranti e delle navi-scuola imbozzate il più possibile vicino alla costa, potevamo benissimo rendere inattaccabile il fronte a terra di Tripoli, incrociando il fuoco delle artiglierie e risparmiando cosi ben più di mille uomini. Che la reputazione del paese e, in linea secondaria, anche quella specifica della marina consigliava a non esitare in questa’'impresa. Che a Roma si poteva ritelegrafare dicendo che condizioni impellenti imponevano, contrariamente al presupposto, uno sbarco immediato. Che lo sbarco avrebbe potuto avvenire il quattro mattina avendo