— 108 — intorno ai litiganti, quando gli sbirri si diressero verso il palazzo pretorio, li segui per vedere qual fine avrebbe la disputa. Ma gli sbirri, giunti nella corte del palazzo, vollero chiudervi la porta; il popolo tentò di opporsi, e non essendovi riuscito, si diede a sforzare l’ingresso. Allora gli sbirri fattisi alla finestra, fecero fuoco sulla gente che stava d’abbasso, ed uccisero un povero famiglio che accidentalmente passava per di là recandosi a casa sua. Il comportamento della sbirraglia, e più ancora l’uccisione del famiglio innocente, inasprì siffattamente l’animo degli astanti che lanciarono una pioggia di sassi contro le finestre del palazzo rompendone tutte le invetriate74). Gli sbirri intanto non cessavano dal fuoco e ferirono due altri popolani. Alla vista del nuovo sangue, alle grida dei caduti, il furore popolare non conobbe più limiti. Furibondi gridavano vendetta: ed accumulate legna e fascine dinanzi al portone del palazzo vi appiccarono il fuoco. Poi, mutato consiglio, spensero il fuoco e colle manaie si diedero a tempestare il portone, che finalmente cedette ai loro colpi. Entrati nella corte, tolsero gli animali sequestrati; e se per allora non accaddero mali peggiori, lo si dovette all’ intromissione d’influenti cittadini, e poi al calare della notte. La moltitudine, alquanto abbonita, prese a rincasare. Non tutti però; chè i più violenti, stettero l’intera notte in vedetta. Alla mattina seguente, coni’ era pur troppo da attendersi, il tumulto si rinnovò con violenza maggiore. I tumultuanti si presentarono dal Podestà chiedendo la consegna degli sbirri colpevoli d’avere fatto fuoco sul popolo. La consegna fu loro rifiutata; ed allora essi, non più badando alle ingiunzioni del publico Magistrato, si diedero a perquisire il palazzo, e sciaguratamente scopersero quegl’ infelici, che stavano rintanati nelle camere sotterranee. Due di essi furono colà immediatamente trucidati, furono uccise due delle loro donne, fu ucciso anche il Cavaliere di corte 75). Altro sbirro, eh’ era riuscito a fuggire, venne raggiunto, ricondotto al palazzo, ’•) Nè si creda che altrove le cose procedessero altrimenti. Si può leggere quanto il Biancini narra di Isola in data 19 aprile 1780. ’*) Il Cavaliere di Corte, o Cavaliere del Podestà, era quello sbirro che eseguiva le sentenze di denaro, i sequestri, le retenzioni dei ladri; frustava, metteva in berlina, eseguiva la tortura, impiccava e decapitava.