- 62 - 111 un’altra variante, j'ure della Norvegia, il toro porge alla giovane perseguitata da mangiare con un’orecchia, e da bere coll’altra. — Scopertosi qui, del pari, l’incantesimo dalla noverca, il toro vien fatto uccidere (precisamente come nel conto gaelico N." 3) all’insaputa di tutti, fuorché della ragazza. Allorché, ucciso eh’è stato il toro, se ne sotterrano le ossa, dal sito ove queste giaccion sepolte si scorge spuntar fuori una cassa, contenente tre vestiti di meravigliosa bellezza, indossati i quali, la giovine si reca tre volte alla chiesa. Nella XLI delle Fiabe siciliane (Pitrè op. cit., p. 366), la pecorella, vedendo la figlia sconsolata, le dice: — „’Un ti pigghiari di pena, mettimi stu travagghiu ’ntra li atonia ca ti li fazzu iti.“ — Prima eh’essa venga uccisa, per ordine della matrigna, dice alla fanciulla di non mangiarne la carne, ma di metter assieme le ossa e di seppellirle „sutta lu sularu“. Da li a non molto, dal sito ove queste stavano sepolte escon dodici donzelli, i quali, vestita la giovane tutta d’oro, la menano ad un festino del re. Questi se ne innamora perdutamente, e finisce collo sposarla, proprio come avviene nella maggior parte dei conti. Oltre agli episodj delle bestie, che ajutano la figlia perseguitata ai eseguire il diffidi compito impostole dalla matrigna, e dell’albero (ulteriore trasformazione di quelle), che fornisce i meravigliosi vestiti alla Cenerentola, va ricordato ancho quello della pantofola perduta; episodio che ricorre nella maggior parte delle novelle. Non intendo soffermarmi qui su questo, dirò cosi, elemento diffusissimo di novellistica popolare, che rimonta certo ad un’epoca rimota assai; se anche non se lo può metter in relazione (ciò che qualcheduno ') fece) coll’ aureo sandalo, perduto da Rodope, mentre stava facendo il bagno — sandalo, com’è noto, nato da un’aquila per un re egiziano, che, non appena l’ebbe veduto, risolse di sposare quella al piede della quale esso si fosse adattato — ma non posso passarmi dal ricordare un conto bretone, intitolato Le Chat tioir, edito da F. M. Luzel (nel feuilleton de VElecteur du Finistère, febbraio 1872), il principio del quale, come già l’osservò il patriarca del Folk-lorismo *), contiene molti degli elementi della Cenerentola. Eccone il sunto. Una matrigna fa uccidere la vacca, che amava e proteggeva la sua bella figliastra Icona. Squartata la bestia, le si trovano presso il cuore due scarpette d’oro, fatte con un’arte mirabile. La matrigna le vuole per sé dicendo : — „Queste hanno da servire a mia figlia, il di delle sue nozze“. — Or avviene che un ricco prence si presenti a chieder la mano della bella Ivona; ma la matrigna, pur acconsentendo alla domanda, tenta di sostituire a quella la sua propria figlia Luisa. Il principe dà nella pania; prende questa, credendola Ivona, e se la mena a casa. Qui le prova le scarpette d’oro; ma esse sono tanto piccole che, perchè ella le possa calzare, è necessario tagliarle le dita dei piedi. *) Il Ralston nel suo articolo intitolato Cinderella, nel già citato The Nineteenth Century (secolo decimonono), p. 837. 2) R. Kóhler nelle sue Note al conto scozzese del Morayshire, edito dui Lang, nella succitata Reme celtique.