— 140 — si è veduto, di nuova gente dalla campagna, e per il conseguente aumento dell’ ammalia. E qui devesi aggiungere come dai confini arciducali ogni anno, nella stagione invernale, scendessero schiere e schiere di bestiame a pascere lungo la marina, ove, per i fatti superiormente ricordati, i pascoli a mala pena bastavano all’ammalia paesana. Epperò si comprenderà di leggeri come e perchè la questione dei pascoli e degli animali fosse per Rovigno una delle più importanti, anzi addirittura una questione vitale durante i secoli XYI e XVII. Ma nel mentre i Rovignesi esigevano, per le suesposte circostanze, che i publici erbatici non si dovessero affittare per gli animali forestieri, e restassero in quella vece riservati per uso e vitto agli animali del luogo, il Podestà ed i Giudici, dal cui beneplacito, per determinazione dello Statuto, dipendevano le affittanze, li concedevano troppo spesso agli stranieri, vuoi per il maggior utile che ne derivava alla cassa del Comune, vuoi perchè maggiori erano le regalie che per consuetudine essi ne percepivano. A tutela dell’ agricoltura, il territorio di Rovigno era spartito in tre zone ; la prima, la più vicina alla città, era compresa nella cosiddetta „Einida piccola“, la seconda, confinante, era compresa nella „Einida grande“; al di là di questa, s’allargava la terza zona sino ai confini del territorio. Entro la finida piccola era sempre vietato il pascolare; nella finida grande lo era permesso soltanto dal primo decembre all’ultimo marzo. Epperò, per otto mesi dell’ anno il pascolo era limitato alla sola zona fuori delle finide, a quella zona cioè eh’ era stata sensibilmente ristretta nel 1526 coll’assegnare la contrada di Lacoverzo ai Morlacchi. Nei quattro mesi dal dicembre al marzo, era bensì permesso il pascolo anche nella finida grande; ma appunto in questi quattro mesi, i più critici per la pastorizia, causa la rigidezza delle stagione, a torme a torme scendevano le gregge forestiere alla costa a contrastare ai litoranei gli scarsi foraggi. Se poi aggiungiamo come questi numerosi animali, che s’affollavano su pascoli troppo ristretti al loro numero, facilmente dai pascoli irrompevano nei circostanti campi menando rovina nelle seminagioni, unica speranza e risorsa del povero contadino4), non 4) Il Prov. Malipiero nella sua Relazione 29 giugno 1583.