i§ 146] la filosofia francese e l’italia 851 § 146. — La filosofia e la scienza del diritto. Le nuove dottrine del diritto naturale (§ 113) si erano rafforzate in Francia, quanto più una potente organizzazione politica aveva assicurato tranquillità all’individuo, e quanto più 1’ esame astratto della ragione rivelava stridente il contrasto fra le istituzioni vigenti e l’ideale che si voleva attuato ai fini della vita individuale. La coscienza soggettiva, posta a centro dell’ ordine giuridico e politico, si esaltava nelle dottrine di Voltaire, di Rousseau e degli enciclopedisti, proclamando il valore intangibile di un fascio di diritti naturali, che dovevano essere riconosciuti a tutti gli uomini dagli ordini dello Stato. Anzi essa giungeva ad affermare risolutamente che siffatti ordini non erano che il risultato di un originario contratto, stretto da ognuno con tutti e destinato a garantire il rispetto dei diritti innati (contratto sociale). Prima che l’interesse pratico, base e ragione latente di queste dottrine, prorompesse impetuoso in Francia nella Rivoluzione, esse si erano rapidamente divulgate in Italia, che sentiva ormai altrettanto acuto il desiderio di una trasformazione dei vecchi ordinamenti giuridici; ma lo spirito penetrante, logico, senza scrupoli di conseguenze e quasi distruttivo dei filosofi francesi si affinava e si spuntava in Italia, dove era meno vivo il contrasto tra le idee e le condizioni di fatto e dove sopravviveva una tradizione più antica di una borghesia conservatrice, legata alla costituzione permanente di numerose città, e fondamentalmente sana e numerosa. Qui appunto le tendenze riformatrici dei nuovi governi, operosi nella pace (§ 145), parevano dare affidamento di un facile svolgersi della vita sociale e giuridica, verso i fini di quello che si diceva ormai il progresso universale, e si reputava che tale svolgimento sarebbe stato più proficuo, quando fosse promosso da salde virtù di governo.