[§ 147] LIBERISMO ECONOMICO 857 sotto l’amministrazione del francese Guglielmo du Tillot, faceva rapidi avanzamenti, inaugurando una ardita politica di freno ai privilegi ecclesiastici; nè poteva ritrarsi dal generale movimento il ducato di Modena, soggetto a Francesco III (1737-80), che pure riordinò l’amministrazione dei suoi Stati e li dotò di più illuminata legislazione. Più lente invece procedevano le repubbliche nazionali, ormai decadenti, Venezia, Genova e Lucca, poiché per esse i vecchi ordinamenti, fondati sul sistema dell’autonomia, erano la base stessa dello Stato, e quindi non potevano essere toccati senza pericolo e ruina di quello. Riforme proposero a Venezia pensatori e uomini di Stato, ma il governo, ormai pauroso di novità, non si risolveva ad attuarle, limitandosi a riordinare la legislazione; sicché solo le lunghe e coraggiose contese con Roma, e qualche sano provvedimento legislativo sembrano interrompere la decadenza. Non diverse erano le condizioni dello Stato pontificio, dove ogni innovazione poteva parer diretta a scalzare le basi dell’ibrido dominio spirituale e temporale; sicché il governo procedeva lento, sull’ingranaggio degli antichi ordini, che recavano ancora il segno di una civiltà tramontata. Più tardi, in tutti questi Stati, eccetto che nelle isole di Sicilia e di Sardegna, la rivoluzione francese affrettò la rovina dei vecchi ordinamenti sociali, instaurando le nuove forme giuridiche sui fondamenti della libertà e dell’eguaglianza civile (§ 149). La maggior certezza del diritto, conseguita con l'assetto stabilmente pacifico del trattato d’Aquisgrana e protetta dall’equilibrio europeo, trasse all’aperto le energie produttive della nazione e le ricchezze non ancora esaurite; mentre le nuove dottrine della libertà economica provocarono in ogni Stato benefiche leggi a profitto della produzione e degli scambi. La nuova età era appena aperta, e già a Napoli, in Lombardia e specialmente in Toscana, si abolivano i dazi gravanti