[§ 143] SUCCESSIONE DELLE DONNE 831 avendosi talvolta cura nelle leggi di limitare la quota che, per testamento, si poteva assegnare ai bastardi. Anche peggiorò la successione del coniuge superstite, poiché, sopra la ragione ereditaria del mundio, trionfò il diritto dei figli. È noto che gli statuti ridussero lucri patrimoniali tra coniugi (§ 139), ma si finì per consentire al marito solo l’usufrutto sulla dote, e solo nel caso in cui sopravviva a figli, che abbiano già acquistato diritto alla eredità materna. Alla moglie nulla compete, oltre le donazioni e i lucri, e l’usufrutto dei beni è concesso solo per disposizione testamentaria o, se vi siano figli, sotto la condizione dello stato vedovile. Successione regolare era quella degli ascendenti, che, in concorso coi fratelli germani, venivano chiamati tosto dopo i discendenti, secondo il principio dell’agnazione, posponendosi ad altri collaterali anche i fratelli uterini. 11 predominio dell’agnazione fa scadere anche la madre dalla posizione guadagnata nel diritto barbarico (§ 04), poiché ad essa si preferisce la parentela più prossima maschile: la madre viene ammessa soltanto in concorso coi parenti più lontani, almeno in una quota della sostanza. Vengono infine i collaterali, anch’essi preferiti, secondo la regola agnatizia. Ma è evidente la tendenza del diritto statutario a restringere i diritti della parentela, come conseguenza delle limitazioni feudali alla successione (§ 64), poiché molti statuti vanno appena al terzo o quarto grado, chiamando in sèguito il Comune o le opere pie (1). Solo tardi, per influsso del diritto romano e del principato, si giunge al settimo e di raro al decimo grado, concessione esagerata alle esigenze individualistiche, che fu già nel nostro codice (art. 742) e che ha ceduto ora ad una più larga concezione degli interessi sociali (decr. luogoten. 16 nov. 1916, n. 1686). (1) Cfr. Const. sen., 1264, ed. Zdekauer. II, 37.