466 Console del mare Fusijama e nel riverbero opaco dei lampioni colorati. Rivedeva le cavalcate dei “cow-boys”, le danze armoniose dei Ka-naki e dei Maori nudi cinti di ghirlande, e i miserabili cercatori d’oro migranti verso il nord, e i laboriosi “caravana” e i “camàlli” del porto di Genova. Sentiva ancora gli applausi delle folle entusiaste che lo avevano acclamato in Asti, a Pola, a Fiume, a Zara, nelle isole redente e in quelle ancora irredente; inorgogliva per lo slancio dei suoi bianchi marinai saldi contro il nemico nell’oasi tripolina, e degli altri marinai grigioverdi delle batterie Amalfi sui pontoni presso le foci dei fiumi veneti. Poi il macabro spettacolo dei cadaveri delle vittime del terremoto trasportati a sepoltura sotto la calce, e le trincee del Carso rimaste sconvolte dopo l’armistizio. Passava in lunga rassegna tutte le navi dei suoi cento imbarchi: le vecchie corvette a vela e a vapore, gli incrociatori, le torpediniere, i caccia, le poderose corazzate e la prediletta “Napoli” cui aveva dato con la sua volontà una sagoma nuova. Benché la sua figura esteriore si facesse sempre più chiusa e ferma, quasi sopita, l’urgere di tanti ricordi e di tante passioni lo affannava come tornasse a soffrire lo spasimo del lavoro per il salvataggio della “Pisani” capitata in secca, della “Stella;Polare” che pareva saldata per sempre ai ghiacci della baia di Teplitz, del “San^Giorgio ’ ’ una, due volte confitto sulle coste italiane; la furia dei suoi spavaldi duelli giovanili; lo sforzo delle prime scalate alpinistiche sui ghiacciai deH’Alasca: l’aria era rarefatta, l’ansito e la nausea lo angosciavano, solo un orgoglio senza misura lo aveva sostenuto allora e sempre fino alla mèta. Soffriva ancora i momenti tragici della sua vita avventurosa: lo smarrimento sulla banchisa alla deriva col timore che la morte impedisse l’annuncio della vittoria; l’improvvisa sospensione della carriera dopo la sciagura di Sant’Agata, il tormento della forzata inazione a Venezia e alla Spezia durante la guerra, e l’istante dell’annuncio del siluramento dell’“Amalfi”, e lo schianto finale del brusco congedo dalla marina. Ma oltre il labile sfavillio delle decorazioni, la sua coscienza constatava i meriti sicuri. Tutte le ombre sparivano nel ricordo ineffabile del giorno in cui aveva strappato per l’Italia e per il suo Principe il primato settentrionale, negli echi della gratitudine dei salvati dal terremoto, nell’ebrezza di Tripo-