V abituati a sopportare gli estremi rigori delle Magioni e allenati alle fatiche. « La sveglia tuonava alle cinque, e la tromba ed il tamburo del picchetto di Reai Navi che montava di guardia alla «cuoia avrebbero risvegliato i classici tette dormienti. I famigli portavano i lumi, e noi giù da letto. Anche i più pigri non si facevano pregare, perche avevamo venti minuti di tempo per lavarci e vestirci: giusto lo stretto necessario per metterci in grado — più innanzi nella giornata — di subire la rivista di pulizia personale, rigorosissima ». « Appena ultimata la nostra toilette, eravamo radunati in rango nel corridoio da un rullo di tamburo; discendevamo nella sala di itudio, non da altro riscaldata nell'inverno che dai lumi a gas. Ivi per due ore mettevamo all'ordine i nostri doveri scolastici e poi (di là usciti) d recavamo alla cappella per le mattinali preghiere. E inutile dire che ogni movimento da un luogo all'altro si faceva a comando del quartiermastro con notevole abbondanza di "destr'riga ", di “fissi", di "fianco destr" e "fianco tinistr ", seguiti dai relativi comandi di far “ fronte Tutto il seguito della giornata si svolgeva nello Messo modo, solo pochi minuti di respiro erano concessi al momento della ricreazione durante la quale ciascuno si abbandonava alla propria mattana con tanta maggior foga quanto più grave era stata la costrizione fisica e morale fino allora subita e pronta a ricominciare. Una enorme stanchezza pesava sui ragazzi nelle ultime ore di applicazione; ma il sonno che talvolta li opprimeva era causa di nuove punizioni. Era un cerchio chiuso di prove e di sanzioni che non aveva tregua per tutu la durata del corso, sicché non tutti allievi resistevano a quel collaudo spesso eccessivo che, pur vagliando i più forti dai meno, comprimeva le singole individualità. Accadeva che perfino i migliori, nominati capigruppo nell'inquadramento interno, subivano pene severe ogniqualvolta non riuscissero a identificare un colpevole fra i loro compagni; sistema che dava anche ai più volenterosi la triste convinzione della « assoluta inutilità del far bene ». Frequente errore delle discipline troppo formalistiche proprie dei corpi a tendenza conservatrice, spesso lontane dalla disciplina sostanziale. Tanto che dall'evcrsso medesimo dei La *■ l>fa "