LEGGI LONGOBARDE 133 Anzitutto i Longobardi, a differenza degli altri popoli germanici, pensano tardi alla legislazione, molti anni dopo la conquista; non perchè mancassero in Italia le condizioni di cultura favorevoli alla legge scritta, ma perchè, data la storia singolare di questo popolo, solo tardi si produssero le condizioni sociali e politiche propizie alla attività legislativa. I Longobardi, discesi dalle regioni nordiche, ove s’ eran fatti fama di durezza e di ferocia, retti da una costituzione militare rapidamente organizzata, avevano occupato la provincia anticamente romana della Pannonia (545 c.), ma vi avevano tenuta breve dimora. Venuti in Italia, durarono per lunghi anni in una lotta assidua e tenace contro i Bizantini, durante la quale non ebbero mai la quiete e ir raccoglimento necessari all’opera legislativa; e più tardi, anche assodata la conquista, furono costretti a tenere vita guerresca. L’antagonismo con la popolazione romana indusse i Longobardi a tenersi alle avite consuetudini, che, nel linguaggio indigeno, si dicevano caioarfide (1), ossia giudica^ ed usi popolari. E la monarchia, tenuta a freno dal potere contrastante dei duchi, non potè così presto radunare le forze adatte a quella azione organizzata e potente, ch’è presupposto della legge; anzi per lunghi anni si mostrò incerta e debole, intenta a dirozzare le schiere germaniche, a iudurle verso la religione cattolica, a rivestirsi delle foggie pompose della romanità decadente, piuttostochè a costruire un governo veramente accentrato. Nuove forze penetrano nella monarchia con l’assunzione al trono di Rotari (636), che fu anche il re legislatore; e da quelle forze prende origine e carattere la legge. Prevale infatti con Rotari il partito schiet- (1) Liut., cc.77, 133; prol. a. XIV, dove è spiegata consuitutinem. La voce trova riscontro dal bavaro geiverft. « trattato, convenienza », e si ricongiunge col sassone e frisio werp « assemblea ». Cfr Bruckner. pag. 59-