[§ 109] DECADENZA DELLE CORPORAZIONI 627 quasi periodicamente la società, nè a stimolare la produzione depressa. A questo sistema servivano le istituzioni finanziarie proibitive escogitate dai Comuni (§ 100), a cui gli Stati aggiungono un più frequente ricorso ai monopoli, per restaurare le finanze pubbliche, sempre oberate, e per riempire le tasche dei principi (§ 117). L’esercizio delle arti resta, per tutto questo periodo, costretto nelle corporazioni (§ 80), economicamente decadute e spogliate d’ogni ufficio politico. Lo Stato ne fa uno strumento di oppressione fiscale, poiché, con assidua vigilanza, ne limita l'autonomia, pretende di confermarne i magistrati, ne rivede gli statuti, ne sindaca i bilanci, se ne serve come mezzo di riscossione dei tributi e come organismo atto a soddisfare i bisogni sempre più gravi del suo bilancio; ne regola, insomma, minutamente, ogni manifestazione, rivolgendole verso il proprio interesse economico e politico. Le grandi corporazioni mercantili, pur esse decadute, non sono più che un organismo di governo, per il regolamento e la giurisdizione del traffico; le arti maggiori e minori, ridotte a un tipo unico, sono appena un corpo protettivo di una classe debole: quella dell’arti-gianato. La corporazione è così un semplice strumento di parificazione economica e sociale, a profitto dell’ assolutismo dello Stato; ma essa non vale nemmeno a difendere la città dalla concorrenza degli artigiani della campagna, i quali, disciolti i vincoli di soggezione feudale, si dànno ad esercitare liberamente le arti manuali, generando nelle città, con la concorrenza, squilibri e rivoluzioni. Irrigidita nelle vecchie forme, la corporazione attende una prossima fine (§ 147). Intanto le ricchezze accumulate nel periodo dell’autonomia, soggette alle crisi, ai pericoli e ai danni dei tempi calamitosi, sentono lo stimolo ad immobilizzarsi, e si ritraggono dalle industrie e dai traffici, per volgersi alla proprietà fondiaria, non già a fine di promuovervi l’industria agricola, ma soltanto per ritrarre