[§ 24] EDITTO DI ROTARI 135 degli editti di Teodorico, sia dal testo probabilmente a lui presente dell’editto visigoto di Eurico (§ 23). Inoltre anche i Longobardi adottarono nella legge la lingua latina e adoperarono locuzioni caratteristiche delle fonti del diritto romano, e soprattutto dei testi sacri. Nella stessa formulazione della norma giuridica, benché prevalga il sistema germanico del richiamo al caso concreto, tuttavia il legislatore ha coscienza dell’indole e dello scopo della legge, poiché dà spesso la ragione della norma, ne tenta la definizione, svolge con logica coordinata i principi fondamentali fissati. Le ricerche del Tamassia e del Del Giudice hanno rigorosamente dimostrato che, per effetto del diritto romano, sia direttamente dai testi giustinianei o antegiustinianei, sia per via mediata dalle leggi romano-visigote di Eurico, penetrano anche nell’ Editto di Rotari taluni elementi trasformativi delle originarie istituzioni, le quali talora ne risultarono dirozzate, svolte, completate o in parte mutate. Finalmente è vivo nell’Editto di Rotari 1’ influsso dal diritto volgare e degli usi della vita popolare italiana, poiché la lingua e lo stile non sono più quelli delle fonti classiche o letterarie, ma hanno movenze volgari, con caratteri neolatini; e talune disposizioni, che non trovano riscontro nelle fonti romane o visigote e che non si accordano coi principi del diritto germanico, sembrano desunte dagli esempi e dalle costumanze della nuova società italiana (1), nel modo in cui si erano svolte da noi, sul vecchio fondo romano. La cultura latina si manifesta, oltreché nel contenuto e nella tecnica delle leggi, anche nell’ordine sistematico, (1) Elementi tratti dal diritto volgare stimo accolti in Roth., cc. 178-185, 225, 249, 343; come da imitazione di usi italici e romani, conservati dai Goti, deriverei il convenius popolare di Roth., c. 313 (cfr. c. 346). da riallacciare a Ed. Theod. c. 58; la preferenza della prova con giuramento sul duello (Roth., 198. 381); l’assegno arbitrale per doctos homines per la entità delle ferite e per la mercede ai medici (Roth., c. 128: fr. c. 352 e Dig. IX, 3, 7); ed altri molti.