l§ 142] PATTI SUCCESSORI 825 erede, ma ormai, specialmente, a dar norma alla devoluzione delle proprie sostanze. Perciò ogni atto d’ultima volontà è pienamente valido, anche se non designa un erede e anche se non merita, nel senso romano, il nome di testamento; cosicché, per quanto si continui a distinguere il testamento, che nomina un erede, dal codicillo, che provvede a singole disposizioni, di fatto manca tra l’uno e l’altro ogni differenza. Soprattutto il diritto canonico, riprendendo le tendenze del favor testamen-torum, spinge a dar valore ad ogni atto d’ultima volontà, anche spoglio delle forme rigorose, poiché si considera in questo caso come sempre apposta la clausola usuale, che la disposizione abbia a valere come codicillo (clausola codicillare). Per avvantaggiare le disposizioni pie, la Chiesa insegnò, e il diritto comune ammise, che era valida anche l'istituzione a favore di una persona incerta, e perciò tutti i testaménti a profitto dell’anima; devolvendosi alla fabbrica di S. Pietro o al vescovo della diocesi ogni disposizione di cui non risultasse evidente il titolare, solo che fosse certo il pio scopo. Ma a questa libertà servono di freno non soltanto le disposizioni più restrittive sulla capacità di testare e sulla legittima, ma anche i patti successori, le clausole di rinuncia alla revoca del testamento, i fede-commessi. La capacità di testare, fortemente limitata a sfavore delle donne, è negata agli infermi di mente, ai minori, ai professi di voti solenni, ai rustici, ai quali ultimi succede, in mancanza di discendenti, per diritto feudale, il barone (ius excadentiae). Solo una lunga evoluzione storica, conservando le esclusioni d'ordine naturale del diritto romano, ridonò alla donna, parificandola all’uomo, il pieno diritto di testare; mentre già i rustici, 'strappando via via ai baroni, con le franchigie dei Comuni rurali, i diritti della personalità, si erano già di sciolti dai rigidi vincoli primitivi (§ 124). Così la quota, che il diritto romano concedeva a tutti