876 ETÀ MODERNA [§ 148] controversia che valse a fissare il programma scientifico della scuola storica del diritto (§ 146), restò quasi senza eco in Italia o l’ebbe tarda e affievolita (1), poiché da noi era forse più che altrove vivo il bisogno di precisare, in pochi e brevi testi organici, le leggi fondamen tali della vita giuridica. Naturalmente l’opera della codificazione non poteva abbracciare tutto il campo del diritto: il diritto pubblico, in gran parte nuovo, tuttora in formazione e più facile ai repentini movimenti, ne restava quasi interamente escluso; ma essa comprendeva invece tutto il territorio del diritto privato, penale e processuale, più maturi nella loro evoluzione e più adatti ad uniformarsi alla costrizione di un codice. Perciò la stessa Restaurazione, che, per primo atto, aveva preteso di richiamare in vigore il vecchio sistema legislativo, durato senza interruzione nelle isole di Sicilia e di Sardegna (§ 145), non seppe poi resistere alla vocazione imperiosa dei tempi, che condannavano i logori istituti di una tradizione antiquata, domandando l’assetto codificato di un diritto nuovo; sicché quasi ogni Stato, dal Piemonte al regno delle Due Sicilie, si pose attivamente all’opera della codificazione. Mentre la Lombardia e la Venezia ricevevano quasi integralmente i codici austriaci (1815), tra gli Stati nazionali fu primo questa volta lo Stato pontificio, che si affrettava sul cammino del reggimento di polizia, quanto più aveva tardato a raggiungerlo, pubblicando un codice processuale civile (1817), che fu riformato più tardi e sostituito col Regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili (1834), nel quale entrarono anche numerose le norme del diritto civile sostanziale, benché lacunose; a cui si accompagnarono un regolamento di commercio (1821) e un altro sui delitti e sullo pene (1832), oltreché una serie di (1) F. Sclopis, Della vocazione del nostro secolo alla legislazione ed alla giurisprudenza, nell'opera Della legistaz, civile. Torino, 1835,