[§ 113] MURATORI E VICO 655 internazionale, ma mostrò soprattutto la tendenza a ricondurre i principi del diritto privato, attinti agli studi romanistici, alla più schietta analogia di leggi fìsiche generali, governanti le azioni dell'uomo : e ciò condusse a determinare, anche fra i giuristi pratici italiani, un diritto naturale distinto dalla legge divina. Perciò il De Luca poteva rassegnare una legge naturale, comune a tutto il genere umano; che nasceva dall’istinto, dalla tradizione e dall’uso, a cui il diritto positivo doveva informarsi, pur avendo autorità di derogarla (1). La ragione è l’anima della legge, e il giudice deve ispirarsi ad essa, non già alle opinioni degli interpreti; tanto più che l’autorità del diritto romano si incominciava anche in Italia a fondare più sul consenso e sull'uso dei popoli, che non sulla potestà obbligatoria dell'antico Impero romano, ormai esausto o caduto. Queste idee animano l’opera erudita di Gian Vincenzo Gravina (1664-1718), che, nelle Origines iurìs civilis (1708), risalendo ai principi fondamentali della giustizia, spiegò storicamente l’origine e la fortuna del diritto romano, facendo tesoro delFinsegnamento dei culti (§ 112) e delle nuove ricerche d’erudizione, che l’uma-uesimo aveva suscitato in Italia, intorno alle vicende del diritto (§ 3). Così si sottoponeva la storia del diritto romano ad una indagine scientifica, di cui è prova la grande polemica, che si dibattè verso gli anni 1720 e 1731, fra il d’Asti, il Grandi e il Tanueci, intorno alla leggenda del ritrovamento delle Pandette in Amalfi (§ 82); indice, se non altro, di una tendenza desìi spiriti verso una nuova coscienza scientifica. Intanto le idee nuove del diritto naturale, prudentemente controllate da uno spirito pratico e da un perenne buon senso, ispiravano le dottrine morali e politiche del sommo storico L. A. Muratori (§ 3), che collocò la ra- (1) II dollor volgare, Roma, 1693, prop. c. 4. pug. 60 e seg.