IL REGNUM ITALICUM 217 riale, che era parte integrante del diritto pubblico italiano, poiché questa tradizione, trasmessa dai tempi gotici e longobardi ai Franchi, si consolida nell’organismo del regnum italicum, che ebbe a capitale Pavia, e che si estese nell’ Italia settentrionale e media, fino alla Campagna romana e al Pescara. Si intese anzi a consolidarla con ispirazione italiana, elevando al trono re nazionali, come Berengario (888-924), Guido e Lamberto (891-898) e più tardi Berengario II (951-964) e Arduino d’Ivrea (1002), e dando vero carattere nazionale al regnum italicum. Senonchè l’impossibilità di accordare gli interessi divergenti dei vari territori, dei grandi feudatari, delle città, dei vescovi e della Chiesa, privando la monarchia di ogni effettivo potere, indusse a chiamare imperatori tedeschi, come Arnolfo (895-899), o re francesi, già per sé stessi potenti, come Rodolfo di Borgogna (922) e Ugo e Lotario di Provenza (926-950); finché, con la chiamata del re di Germania Ottone il Sassone (951), si ebbe un monarca veramente forte, che, pur tra contrasti, riuscì a reggere lo Stato (962-973) e a rinnovare col Papato il patto carolingio del Sacro Romano Impero, trasmesso quasi senza interruzione ai suoi discendenti: Ottone II (973-983) e Ottone III (983-1002), e poi Enrico II (1004-1024), Corrado il Salico (1025-1039), Enrieo 111(1039-1056) e Enrico IV (1056-1106). Ma questa successione di monarchi si resse soltanto a traverso larghe concessioni di privilegi e di immunità ai grandi del regno, ai vescovi, alle città, da cui derivarono le autonomie dei territori e dei comuni. Nel giuoco degli Italiani, denunciato dal cronista Liutprando 'li Cremona, quello di volere due re per non obbedire ad alcuno (1), bisogna vedere l’impeto delle energie locali, specialmente cittadine, insofferenti dei vecchi (1) Liutprando, Antapodosis, lib. I, c. 37.