312 Sofferenza dell'ammiraglio bene al vostro nuovo comandante come ne volevate a quello che vi lascia ». Nulla di sé. Senza perorazione tacque volgendo intorno lo sguardo, per un attimo interdetto, accennò con la mano un affettuoso addio, poi si avviò in silenzio verso la cabina per vestire l’abito borghese. Nella commozione che si lasciò dietro, gli ufficiali non poterono impedire ai marinai di lanciare un saluto alla voce a Cagni e Cacace che si allontanavano da bordo con la lancia, né di ritrovarsi poi al passaggio del treno alla nave traghetto che si allontanò sulle acque plumbee fra un silenzioso agitarsi di berretti. L’ammiraglio si ritirò a Torino fra i suoi in paziente attesa. Alla fine dell’anno scrisse all’amico Vincenzo Macchi di Cellere: « Ho taciuto finora e continuerò a tacere, ma con te no! Questa è tutta una commedia. Mi si è colpito, accanitamente colpito, perché era una possibile occasione di farlo approfittando della ignoranza del pubblico italiano di cose di mare, ma pur sapendo ch’io non ho la minima colpa ». « Naturalmente tu ti domandi cosa farò io. Nulla. V. E. Orlando ha accettata la mia difesa, qualora io vada in tribunale (non lo dire perché ciò deve restare segreto fino al momento opportuno). Associerò a lui Porzio, mio amico personale, ed un altro avvocato del foro napoletano. Non mi difenderò contro l’accusa perché non ne vale davvero la pena, ma difenderò la mia reputazione marinaresca. Non sono il primo ammiraglio che si trova sopra una nave che investe. Mai entrò in discussione l’ammiraglio quando l’investimento non avveniva in manovra o in diretta conseguenza di speciali ordini suoi, ma si verificava per errore del comando di bordo. L’ammiraglio Noce, che era sulla “Morosini” quando questa investiva a mezzodì sopra un bassofondo sul quale era stata tracciata erroneamente la rotta, sbarcava in licenza, disponibile (e non in disponibilità, che è ben differente) per venti giorni e cioè durante il tempo in cui la nave rimaneva a secco in bacino, e poi riprendeva il comando. L’ammiraglio Gervais che incagliava con due navi non ammainò mai l’insegna; l’ammiraglio inglese che era sul “Victoria” quando investi in Grecia non ammainò mai l’insegna, e cosi cento altri in Italia