[§ 137] LEGITTIMAZIONE E ADOZIONE 801 tiva quota; ma più spesso e più a lungo la famiglia, concepita come una comunione, resta indivisa, e il diritto si adopera, perchè i patrimoni non siano dispersi, a garanzia della continuità familiare. Tutto ciò vale, originariamente, soltanto per la famiglia legittima. I figli naturali sono colpiti da una macchia di infamia, che l’aspra lotta per il celibato dei sacerdoti, inducendo a condannare senza distinzione tutti i frutti di amori illeciti, o di unioni inferiori, non fa che confermare. Ma poi questo concetto è rapidamente superato dalla dottrina e dall’uso : nei secoli XV e XVI, ai tempi della Rinascita, i figli naturali riconosciuti prendevano posto accanto ai legittimi; nè l’illegittimità dei natali fu causa di esclusione dalle cariche. Si comprende perciò come restasse riconosciuto, in qualsiasi caso, il diritto agli alimenti, con un moderato consenso alle ricerche della paternità, per prove legittime (prova scritta) o per pubblica fama (possesso di stato); mentre, come riflesso di civiltà, si distinguono più nettamente i figli semplicemente naturali dagli illeciti. Perciò si favorisce l’istituto della legittimazione, posto in essere sotto una doppia forma: per subsequens rnatrimonium, dapprima intesa come una adozione, con effetti soprattutto ereditari, compiuta dinanzi al giudice, con la presenza del legittimando; più tardi fondata, dalle prescrizioni canoniche di Alessandro III (1172), sulla virtù divina del matrimonio, fatto sacramento (§ 138) e operante ipso iure (1), anche senza il concorso delle condizioni giustinianee, come perfezionamento di un vincolo preesistente di lecito concubinato; e per rescriptum principis, dapprima riguardata anch’essa come un’adozione, ed esercitata, oltreché dai principi, anche dai Comuni e dai signori, per consuetudine o per privilegio, (1) C. 1, 6, 13, X, IV, 17: «Tanta est vis sacramenti ut, qui antea sunt geniti, post contractum matrimonium habeantur legitimi ». Solmi. — Storia del dir. il. 51