— 88 — e senza spargere una goccia di sangue. Nell’unico pozzo di Sfetigrado, al quale attingevano acqua gli abitanti e la guarnigione, il traditore, comprato dai Turchi, gittò dentro un cane morto. I Dibrani bulgari ed ortodossi non vollero in nessun modo bere l’acqua di questo pozzo, neanche dopo che era stato ben purificato; invano gli Sfetigradesi imo per volta bevvero acqua dopo il comandante. I Dibrani bulgari si ostinarono a non bere, sicché non rimaneva loro che morir di sete od abbandonare la fortezza. Inviarono parlamentari e proposero al Sultano Murat di consegnargli la fortezza a condizione di uscire con l’onore delle armi e con quanto altro volessero portar seco. Il Sultano Murat accondiscese con sua grande gioia e ai 31 di luglio i Dibrani col loro capitano si partirono dalla fortezza : nello stesso tempo l’esercito turco entrava in Sfetigrado. Questi Dibrani di Dibra Superiore erano bulgari di razza e ortodossi di fede, secondo il Barlezio (156), e non cattolici come erano pressoché tutti gli Albanesi fin dal tempo dei Bai-scia, ma albanizzati a metà e legati da incrollabile fedeltà alla casa dei Castriotta. Senonchè, per la mala ventura di Scan-derbeg, avevano la superstizione di non bere acqua e di non toccar cibo che fossero stati profanati dal fetore di carogna sia di uomo che di bestia, nella convinzione che un tal fetore contagerebbe lo spirito dell’uomo. Scanderbeg si rammaricò grandemente quando gli pervenne la notizia della capitolazione di Sfetigrado, e, appartatosi nella sua tenda, deliberò di castigare severamente i Dibrani bulgari che avevano abbandonato in mano del nemico la fortezza a causa di un cane morto. Ma quando Pietro Periati, che era stato sconfitto, gli si fece incontro con la eroica guarnigione, vinta non dal valore ma dalla superstizione, e quando tutti quanti insieme con gli Sfetigradesi si gittarono piangendo a’ suoi piedi, si placò, s’intenerì e l’ira gli si spense. Egli, poscia che li ebbe ringraziati, non disse contro di loro alcuna parola di rimprovero, ma non pose più alcun dibrano bulgaro a difesa delle fortezze. La chiave e la porta principale dell’Albania erano ormai