La bestia trionfante 219 che ne sono gli strumenti e di cui ignorava — disse — perfino i nomi. Ascoltando quell’uomo in cattedra, che citava la frase di Saint Bon: « Nella Marina militare vi possono essere due scuole: la scuola del dovere e quella del piacere », Cagni faceva un esame di coscienza e trovava di aver sempre seguito la prima, fino al rischio della vita. Ma Ferri incalzava con la sua reboante concione protestando perché la querela si riferiva soltanto ad alcune delle molte accuse contenute nella lettera, certo per impedirgli di dimostrare fondate le rimanenti. Nella perorazione si era abilmente commosso, aveva respinta la taccia di libellista senza trascurare un lirico finale di autoesaltazione. Il pubblico, preso, esaltato da quegli accenti, si montava d’odio contro gli ufficiali in cui vedeva più che mai i prezzolati giannizzeri della oppressione borghese. Al suo turno Cagni rispose calmo alle domande del Presidente dicendo di non poter escludere “a priori” eventuali disonestà; anzi si augurava che Ferri indicasse i presunti colpevoli perché i querelanti non potevano tollerare l’indicazione generica che li colpiva tutti in fascio. E precisava di aver voluto reagire alle accuse che intaccavano il suo nome, il suo onore personale, non già a quelle generiche sui sistemi d’amministrazione, materia estranea alla sua competenza e per la quale non era autorizzato a perseguire l’accusatore. Eppure fu proprio sopra questa distinzione intorno al fatto che la querela non investiva tutte le accuse del giornale socialista, che si aggirò tutto il processo per tre giorni consecutivi di interrogatori, interventi d’avvocati, repliche e incidenti procedurali. L’avvocato Erizzo sostenne la tesi limitativa spiegando che gli ufficiali non potevano andare oltre la difesa dell’onore personale e sostituirsi ad organi superiori. Il Pubblico Ministero, pressoché d’accordo, concludeva: «Non si può parlare di fuga o di menomazione d’onore quando fra essi [querelanti] vi è un uomo del nome di Cagni che ha dato cosi grandi prove di coraggio ». Fu allora che dal pubblico eccitato usci uno sghignazzo: « Al Polo non c’è mai stato; fu una burla, quella ! » Bestemmia di popolano incosciente che strinse per un attimo il