Presa di Tripoli 271 che temeva si fosse già troppo rischiato, fini per risolversi: « Ho tanta fiducia in Cagni — disse — che, per la sua presenza specialmente, decido l’occupazione ». Allora Cagni, tutto vibrante per questa seconda vittoria, dispose il piano di esecuzione. Parte dei marinai rimase a presidiare il forte; parte, guidata da Verri, marciò su Tripoli fino alla piazza del mercato dove doveva arrivare, ed arrivò per giusto calcolo, contemporaneamente a un altro scaglione che giunse per altra via con lo stesso Cagni in testa. Non ci furono contrasti. Appena orientato, il Comandante diede le prime disposizioni per l’accantonamento e la sicurezza, poi andò al municipio per incontrarvi il sindaco Hassuna Pascià, che si sapeva italofilo e che lo accolse fra un gruppo di notabili. Cagni rese subito proficuo quell’incontro cerimonioso e cordiale invitando il sindaco a pubblicare un bando in cui si sollecitavano gli Arabi a consegnare le armi; secondo la prontezza della consegna era stabilita una graduazione di compensi, con un criterio che risultò di sorprendente efficacia pratica. Infatti alla sede provvisoria del quartier generale — l’ex-Circolo degli ufficiali turchi — gli indigeni affluirono con molti fucili quasi tutti nuovi, evidentemente della partita trasportata dal “Derna”. Non fu facile provvedere la quantità di talleri occorrente: il console Galli dovette sfondare la cassa dell’ufficio postale italiano. Col calar della sera il silenzio dell’oasi sconosciuta fu rotto da colpi sparati contro i ladri o per semplice orgasmo dai marinai che non credevano tanto pacifica l’avventura. Alcune scariche più nutrite agU avamposti indussero il comandante a radunare i due battaglioni di riserva che nel-l’accorrere si diedero a caricare le armi. Di ciò Cagni li rimproverò aspramente, perché voleva i suoi uomini calmi nel pericolo. Si trattava di un falso allarme, ma la tensione dei nervi continuò per tutta la notte perché si ignoravano la posizione, la forza ed i propositi del nemico. Sull’antico castello era già issato il tricolore. Il comandante sentiva la enorme responsabilità di dover difendere con un debole velo d’uomini la sua conquista e, con essa, la bandiera e l’onore della patria. Soltanto all’alba, alquan-