48 fica città, fosse festa solenne. Pochi mesi dopo, il re Baldovino fu liberato dalla sua cattività verso il riscatto di cento mila monete, le quali, scrivendo Guglielmo di Tiro, che si denominavano Michelati ed avevano corso in tutte le transazioni commerciali di quei paesi, non sono certamente le monete del doge Michiel, come alcuno mostrò credere, ma piuttosto greche (1). Il re, grato ai Veneziani dei tanti servigli prestati, non tardò a confermare loro prontamente i patti, già conclusi col patriarca e coi baroni, rilasciando a quest’ oggetto al doge, in data d’Accon 2 maggio 1125, altro documento ancor più esplicito del primo (2). Edificarono i Veneziani nella parte della città di Tiro loro spettante tre chiese, 1’ una a s. Marco, con molti doni e privilegi, 1’ altra a s. Giacomo e la terza a s. Nicolò : il governo poi era affidato ad un bailo, cui s’ apparteneva la amministrazione della giustizia e ad un viceconte incaricato della difesa e sicurezza del luogo. La formula del giù ramento, che pronunziavano coloro che si recavano a render ragione in Tiro, era la seguente : « Io giuro ai santi Evangeli di Dio, che sinceramente e senza fraudo renderò ragione a tutti quelli che sono sotto la giurisdizione veneta, nella città di Tiro, e ad ogni altro che comparirà in giudizio innanzi a me, secondo la consuetudine e l’uso della città, e se non ne avessi cognizione e notizia, mi regolerò a norma di quello mi parrà giusto e mi sarà portato ed allegato dalle due parti (juxta clamorem et re-sponsum). Darò inoltre fedele e onesto consiglio, giusta le mie forze, al bailo ed al viceconte, quando ne sia richiesto (1) Dicitur autem summa prò se parta pecunia# fuisse centum milia Micliaelitarum : quae moneta in regionibus illis in publicis com-merciis et rerum venalium foro principati tm tenebat. Grigi. Tyr. 1. XIII. (•2) Andrea Morosini, p. 68 e Poeta II, o. 96.