261 con Manfredi di Sicilia a sostenere il partito ghibellino in Italia. Così quell’ amore di libertà, quel desiderio della indi-pendenza che già vedemmo nelle città lombarde ai tempi dei due Federici, s’erano in breve giro d’anni quasi spenti del tutto, ed il nome di guelfi e di ghibeliini più non copriva se non particolari passioni e smanie di signoreggiare. Le leggi erano insufficienti e male amministrate, mancava ogni sicurezza personale e delle proprietà ; era un continuo correre alle armi, uno sbarrare di vie, un incendiare e saccheggiare di case e di fondachi ; tanto che è una maraviglia come Italia non fosse ridotta totalmente al fondo. Prevalendo sempre più negli eserciti la cavalleria, i borghesi che non potevano come i gentiluomini solo attendere ai maneggi del cavallo, dovettero a poco a poco ritirarsi, e i nobili formarono allora le così dette Compagnie sotto la guida di Condottieri i quali si mettevano al soldo di chi più li pagava ; colpo mortale alla milizia italiana e via sempre aperta a quei condottieri ad usurpare la signoria della città che gli avea presi allo stipendio. Sola a non gettarsi apertamente ad alcun partito, ma a sapere con destra politica e savio e forte governo conservare la pace interna e il rispetto al di fuori, era Venezia, in ciò favorita anche dalla stessa sua positura, per cui in essa non erano nè torri di nobili fortificate, nè cavalli pronti a correre sul popolo. Attenta invece sempre al pi'oprio ingrandimento, era venuta fino dai primi anni del doge Renier Zeno in possesso di Curzola, isola della Dalmazia, per opera di Marsilio Zorzi podestà di Ragusi; avea pei propri ufficii reconciliato il patriarca di Aquileja, Gregorio di Montelungo, coi Friulani, ed ottenutone (1) un nuovo trattato nel 1254, pel quale ol- ii) Pacta III. 34, 35. 34