274 dei veneti e pisani che abitavano nella stessa Costantinopoli e eh’ egli scacciar non poteva, nè ritenere senza esporre la città a gravi pericoli. Deliberò quindi di abban-nare i Genovesi eh’ egli credeva avviliti e non più a temersi, e mandò a Venezia a trattar di pace Enrico Trevisan, già da lui tenuto in prigione. Varie erano le opinioni in senato; e chi era più animato di sentimenti guerreschi, andava dicendo : essere del veneto decoro profittare della favorevole fortuna per riacquistare il perduto impero: le domande dell’ imperatore mostrare abbastanza la sua debolezza : ei ben conoscere che se per un colpo di mano potè mettersi in possesso di Costantinopoli, male però si attenterebbe a difenderla contro una possente armata ; nessuna grande azione compiersi senza generose risoluzioni, senza ardire, senza cimenti : tale essere stata sempre la condotta della Repubblica, e per essa essersi fatta sì graade ; perchè non seguirebbela ora ? perchè mostrerebbesi tanto dappoco da rifiutare 1’ occasione, che da sè stessa le si offriva, di estendere gloriosamente il dominio, ampliare con immensi benefizii il commercio ? , Ma a ciò altri più assennati rispondevano : La freddezza mostrata, le ripulse date dalle varie potenze a cui Venezia erasi volta per soccorsi al riacquisto dell’ impero, abbastanza dimostrare, quanto poco quelle si curassero della fine dell’ impero latino ; quand’ anche potessero i Veneziani da sè soli ricuperarlo, sarebbe sempre incerto e vacillante possesso ; che se poi non riuscissero, qual disdoro alle venete armi ? Avere i Genovesi sempre ai fianchi, molesti, attenti a profittare d’ ogni veneziana sventura, d’ogni veneziano fallo ; badassero bene : meglio fia ottenere sicuri vantaggi e trattati, che arrischiare con una grave e dispendiosa guerra di perdere tutto (1). (1) Marin IV. 324.