136 grandissimo lucro alla Repubblica, che col suo numeroso naviglio li trasportava dall’ un paese all’ altro ritirandoli dalla Sicilia, dalle isole greche, dalla Barberia, dell’ Egitto ecc. La quale estesa navigazione ed il commercio che le andava unito conducono di necessità ad ammettere che fin d’allora avessero i Veneziani un codice nautico-commerciale, rifuso poi noi famosi statuti nautici, e del quale troviamo qualche indizio nel trattato col principe d’ Antiochia nel 1167, ove leggesi la concessione di tenere curia propria e giudicarvi secondo le proprie leggi e statuti (1). E facile comprendere, che il maggior numero delle vertenze, che potevano insorgere, concerner doveano cose spettanti al traffico e alle navi. Fu già osservato che Venezia, la quale tenne sempre nei suoi ordini civili e politici un certo carattere di matura prudenza, che mancava per lo pili nelle costituzioni delle altre repubbliche italiane, procedeva in materia di giudizii, fin da’ tempi più antichi, collegialmente (2). Infatti abbiam già notato, come fin dalla morte del doge Vitale Michiel erasi data forma più regolare al Maggior Consiglio e a quello dei Pregadi, ed eransi aumentati fino a sei i consiglieri del doge (3). Ora col crescere sempre più delle facendo, parendo i consiglieri tuttavia insufficienti, nè stabile per anco essendo il Pregadi, fu introdotto un nuovo Consiglio di quaranta distinti cittadini, al cui esame e parere si dovessero portare tutte le proporzioni da sot- (1) Pacta II, 8. (2) Sclopis, St. della legislazione italiana, II, 223. (3) In un documento intitolato Statutum contenente una condanna pronunziata dal doge Mastropiero contro Jacopo Giuliano che avea rifiutato offlcium consulendi al quale era stato eletto, e che perciò è dichiarato incapace d’altri onori ed offici, leggiamo sottoscritto: Jacobus Ziani con-siliator. Archivio, Filza Trattati.