Presa di Tripoli 267 ricevettero finalmente l’ordine di predisporre le truppe da sbarco. Gli ammiragli si riunirono a rapporto. Cagni attendeva. Alle 13 Borea, tornato sulla “ Umberto”, lo avverti che si era deciso lo sbarco di due reggimenti e che proprio lui, Cagni, avrebbe comandato il contingente, non solo, ma sarebbe stato anche il governatore provvisorio di Tripoli. Entusiasta di vedere seguiti i suoi suggerimenti, Cagni ritenne però che gli ammiragli fossero andati troppo oltre nell’affidarsi a lui, e tenne a ristabilire l’equilibrio considerando che non sarebbe stato possibile ad una sola persona provvedere nello stesso tempo alle operazioni di sbarco, all’occupazione della città, alla difesa e a tutta la complessa materia politica e amministrativa che si sarebbe accumulata nei primi giorni. Pensò anche che il suo stesso grado di semplice capitano di vascello avrebbe diminuito di fronte al Paese e all’estero l’importanza che bisognava attribuire all’occupazione. Suggerì quindi a Borea di assumere il governo della città. Evidentemente non bastava che egli incitasse i superiori ad agire: doveva anche moderarli nell’abbrivio. Borea convenne, ma osservò che non avrebbe certo potuto proporsi personalmente all’ammiraglio come governatore. Allora Cagni, che si sentiva in vena e col vento in poppa, affrontò il mare agitato con un piccolo battello per passare sull’ammiraglia a discutere con Faravelli. Il comandante della squadra approvò la nuova proposta, ringraziò per il saggio consiglio e dispose in conseguenza. Subito dopo, Cagni si diede a predisporre i quadri dei due reggimenti da sbarco, quindi tornò sull’ “Umberto” sul suo piccolo battello sbattuto da grosse ondate. Era già buio: « La navigazione dalla “ Brin” all’ “Umberto” con quel mare mi dà un sapore di naufrago che mi diverte in questo momento di soddisfazione che io provo. Sono soddisfatto di non aver esitato neppure un istante a soffocare in me un sentimento molto umano di vanità per seguire risolutamente il sano consiglio del mio cervello. Una vittoria interna che io apprezzo molto in me stesso, propenso ad affidarmi all’istinto dell’intelligenza anziché al ragionamento. E poi mi succede cosi raramente di riportare delle vittorie sui miei difetti! » Era felice di avere alfine incon-