218 GLI STATUTI DEL I35O Gli Statuti nuovi decretarono la serrata del Consiglio: i membri che aveva quell’anno furono dichiarati eletti a vita e fu proibito a loro di rifiutare la carica. Da allora in poi non avrebbero potuto essere del Consiglio che i figli di quelli che vi erano, né altri se il loro padre o il loro nonno paterno o materno non fossero stati del Consiglio. Così, sul sistema veneziano, si stabilì una rigorosa concentrazione della classe dirigente, affidandosi a questa un’austera, ereditaria missione di governo. In quello stesso anno, mandando a chiedere al Comune di Trieste homines navigatores, gente per la sua flotta, il Doge ricordava ai cittadini « la grande carità e l’amore che il Governo veneziano aveva sempre avuto e aveva per loro e i favori e i vantaggi che da esso continuamente ricevevano nelle varie loro opportunità, come gli altri suoi fedeli ». Parole che non avrebbe potuto scrivere, se troppo facilmente fossero state passibili di smentita. A dir vero, come poteva il Comune avere speranza di risolvere la grave lotta in cui si trovò implicato nel 1352, se non fondandosi su buoni rapporti con Venezia, il solo di tutti gli Stati vicini che avesse interesse al suo successo? La speranza non fu però tutta esaudita, benché dall’autorità dei podestà veneti la città avesse gran bene. Era venuto vescovo a Trieste nel 1349 ^ veneziano Antonio Negri, il quale diede un pericoloso vigore a un processo che pendeva alla Corte di Avignone contro il Comune già dal tempo del vescovo Francesco da Amelia (1342) causa le rendite di Moccò, causa altri beni, che la chiesa dichiarava levati o trattenuti, e causa alcuni balzelli che pretendeva riscuotere, mentr’erano stati già alienati al Comune dai predecessori di Antonio. Il Comune rispose negativamente alle richieste del vescovo. La controversia si fece più aspra e tutte le trattative fallirono. Scoppiarono anche gravi turbolenze nella città, dove la contesa sarà stata buon argomento alle fazioni per scagliarsi l’una contro l’altra. Il vescovo scomunicò la città e ricorse per soccorso al Patriarca Nicolò, della Casa imperiale dei Lussemburgo. Con l’aiuto di questi, anzi, si fece riconfermar nel 1352, dall’imperatore Carlo, le antiche investiture, chiamandosi conte di Trieste e risollevando contro il Comune lo spettro del feudalesimo. Il Patriarca cercò imporre la sua volontà al Comune. Ma questo tenne duro. E poiché in quel torno il conte Mainardo di Gorizia riaprì la guerra contro il Patriarca, i Trie-