152 RINUNZIE DELLA CHIESA AL COMUNE con Venezia e per merito di una pace prolungata, trafficavano e s’arricchivano. Il vescovo invece, per troppe spese di guerra, per troppi viaggi al seguito del Patriarca, per danni sofferti da Mainardo di Gorizia, era sull’orlo della rovina. Prestatori pubblici e creditori di tutti i generi «come vermi roditori ogni giorno demolivano, divoravano, corrodevano » la chiesa triestina. Le casse erano vuote. Che poteva fare il vescovo in tali condizioni ? Poteva dar noie al Comune, far processi, avvalersi dell’autorità del Patriarca e moltiplicare le liti e le impugnazioni. Meglio era quindi un compromesso. Il vescovo farebbe ampie rinunzie alle sue immunità che pretendeva mantenere: ed il Comune avrebbe saldato con 800 marche di denari triestini i feneratori che lo opprimevano. Il vescovo accettò. Il 6 maggio 1253 firmò il compromesso, concedendo tìtulo venditionis quanto gli fu richiesto. Trattarono per il Comune i consoli Giovanni Ranfo, Vitale Albori e Bonifacio di Can-ciano. Volrico rinunziò per sè e per i suoi successori ai più importanti tributi che traeva dai prodotti dell’agricoltura e dell’industria, a qualunque intromissione nella libera elezione dei consoli, alla giurisdizione penale, a qualunque impugnazione degli statuti in materia penale, che i consoli avrebbero dati alla città. In realtà il vescovo fece la croce a privilegi che ormai e da tempo erano più sulla carta che nella vita. Egli vendette cose che più non possedeva o male poteva tenere. Ma, dopo tante liti, che sospiro di sollievo per i cittadini! «Lasciarono al vescovo la muda di Riborgo, il parziale diritto di zecca e i suoi possessi, ma vi misero su un pegno di garanzia per il mantenimento dei patti. Non si sapeva mai... A buon conto, per rafforzare meglio l’autorità del Comune, i consoli rettori, secondo la regola, fecero luogo al podestà, che nel 1254 fu Marco Zeno, veneziano. In quello stesso anno San Marco ebbe occasione di far valere la sua posizione particolare sopra il Comune triestino. Quell’anno, cioè, la città fu in guerra con Capodistria e il Doge s’interpose per ridurre alla pace i belligeranti, chiamando ambedue suoi fedeli o vassalli. Era morto il vescovo Volrico e il Comune s’era arrogato alcuni suoi diritti, tra cui l’esazione di dazi nel territorio. I Capodistriani rifiutarono di pagare, dichiarando che la giurisdizione sulla muda esterna era dell’episcopato. La quistione s’inasprì,