334 SOPPRESSIONE DELLA BALÌA discussione, il 28 ottobre 1426, l’ordine fu accettato e furono revocate le pene contro i citati nobili. Il colpo toccato al collegio della Balìa riaccese la lotta contro e attorno di essa. I suoi avversari domandarono a Federico che ne ordinasse la soppressione: questa pare fosse desiderata anche dalla città, stanca di tumulti e di lotte e toccata fors’anche negli interessi commerciali dai trattati stretti poco prima da Venezia coi Goriziani, che promettevano, ai commerci di quella, sicurtà e franchigia in gran parte del retroterra triestino. Federico, che vedeva nella Balìa un organo fortissimo delle libertà comunali, accettò ben volentieri l’invito di quelli che più a lui si sottomettevano. Ma lo scioglimento del collegio, compiuto il 16 dicembre dell’anno, non avvenne per decreto arciducale, bensì per volontà dei cittadini. Lo proposero al Consiglio maggiore, senza fare il minimo cenno né dell’arciduca né del capitano, i giudici rettori in forza del potere dato loro espressamente a tal fine dallo stesso Consiglio. La soppressione avvenne dopo lunghe e calde discussioni, a maggiorità di voti e con tale e tanto onore per la Balìa, che manifestamente si volle riconoscere dai giudici e dal Consiglio, che il collegio aveva benemeritato della città. Una sola ragione fu data: si abolisse la Balìa affinché tra i cittadini potesse regnare l’unione e la concordia e si potessero evitare i tanti disordini occorsi. Fu decretata la pena di morte per chi proponesse la ripristinazione del magistrato: però tutte le sue sentenze, fuori di quelle tre revocate com’è detto sopra, furono dichiarate valide, mantenute quindi tutte le condanne e i bandi. Gravi pene si minacciarono a quei membri del collegio che avessero osato svelare una sola delle sue secrete discussioni: bastava un unico testimonio e anche un accusatore anonimo per condannare l’indiscreto come spergiuro. Gravi pene si decretarono parimenti per chi avesse voluto ingiuriare il collegio o uno che ne fosse stato membro. Si cassarono tutte le decisioni della Balìa registrate nel suo capitolare; anzi, per ottener meglio l’oblìo e evitare ogni strascico, fu bruciato nella sala del Consiglio il libro che conteneva gli statuti del magistrato e il suo capitolare. L’abolizione della Balìa non arrecò la desiderata pace. Quelli che erano stati da lei colpiti salirono, per reazione, in alto: già nel reggimento di gennaio del 1427 il Vedano e il Belli erano giudici e revocavano il bando a Nicolò de Baiardi, cospicuo cittadino stato espulso