2 54 GENOVESI E FRIULANI SOTTO TRIESTE volebat civitatem Tergeste). E i negoziatori veneziani scrivevano al Doge che « a quanto avevano potuto penetrare, la domanda di Trieste era fatta per il duca Leopoldo d’Austria ». Queste cose diffìcilmente s’ignoravano a Trieste, dove e l’uno e l’altro dei due aspiranti avrà procurato crearsi una situazione vantaggiosa. Benché dentro si tramasse il tradimento, la città rimaneva fedele, anche quando Venezia pareva perduta, anche quando la penuria dei viveri, di cui si soffriva, poteva essere efficace consigliera di rivolta. Nella primavera del 1380, conchiusi gli accordi coi Genovesi, il Patriarca, probabilmente per prevenire il duca Leopoldo, si accinse alla conquista armata — egli disse alla «redenzione» — di Trieste. Un grande esercito di baroni e di soldati friulani — magna multitudo militum et baronum — fu mandato all’assedio e fu concordata l’azione con le trentotto galere genovesi di Matteo Maruffo, che allora, impotenti a soccorrere Pietro Doria, assediato in Chioggia, tenevano l’Adriatico e conquistavano le città istriane. Preso facilmente il castello di Moncolano, il cui comandante Antonio Venier fu poi condannato dal Senato veneziano, l’esercito del Patriarca e la flotta genovese furono il 16 giugno sotto le mura e nel porto di Trieste, a cui posero regolare assedio. La città non si sollevò ancora: anzi, comandata dal podestà Donato Tron, si pose alla difesa a fianco dell’esile presidio veneziano, nemmeno sufficiente a tenere i due castelli, certo incapace del tutto a guardare anche le mura e le porte e l’ordine interno. I quali, invece, furono guardati dai cittadini. La città era battuta dalle armi dei collegati già da dieci giorni, quando il tradimento potè compiere l’opera sua. Un frammento della più antica Cronaca triestina, quella scritta alla fine del xv secolo 0 nei primi anni del Cinqiiecento da Piero Cancellieri, registra, a proposito di questo tradimento, una narrazione, che, per essere non molto lontana dagli avvenimenti, ha qualche probabilità di riferire cose tramandate e narrate a Trieste. Racconta dunque il Cancellieri — tolti i dettagli incongruenti — come fosse concertato il tradimento. Il podestà Donato Tron aveva un cane levriero chiamato Tiner, a cui era molto affezionato. E teneva un cancelliere, che aveva il padre suo nell’esercito friulano. Questi — il cancelliere — accon-