l’intervento del pontefice 355 La salvezza venne da Venezia stessa e da Enea Silvio Piccolomini, Pontefice romano col nome di Pio II. La Repubblica, come si era detto in Senato nell’ottobre, aveva grave danno nella sua spedizione della Morea dall’impresa di Trieste: l’avanzata turca ne era avvantaggiata. Il Pontefice prometteva abbandonare la guerra contro i Malatesta e radunare una crociata contro i Turchi. Il 18 ottobre il cardinale Bessa-rione intervenne a nome del Papa presso il Doge e disse che questi non voleva intervenire per l’affetto che conservava a Trieste, sì bene per sedare tutti i conflitti tra Italiani, per prepararsi alla guerra contro i Turchi e per evitare un’inimicizia tra Venezia e l’imperatore. Il rettore Domenico de Burlo, già favorito alla Corte pontificia, l’aveva indotto a farsi mediatore della pace. Il Senato veneziano non respinse l’offerta, quantunque ormai fosse sicuro di avere la città nelle sue mani e alla sua mercè: rispose avrebbe perdonato ai Triestini, purché la pace si facesse con piena dignità della Repubblica. Avuta notizia a Trieste della mediazione pontificia, i rettori (oltre al Burlo, Daniele de Bonomo e Cristoforo de Toffani) nominarono procuratori e sindaci del Comune Antonio de Leo e lo stesso Burlo, i quali, l’u novembre si trovarono a Venezia, presso il cardinale Bessarione. Le trattative si svolsero sollecite tra il cardinale e il Senato veneziano. Questo, oltre al rispetto dei patti vetusti e delle regalie, voleva tutti i castelli occupati, nonché Prosecco e Moncolano; intendeva proibire la produzione del sale, la quale proibizione era fondata sulla tesi giuridica che la Repubblica allora faceva rispettare da Re e da Imperatori: che essa era padrona del mare e in diritto di disporre di tutto quanto riguardasse le acque dello stesso mare. I Triestini non volevano dare Moncolano e Prosecco, che non erano più nelle loro mani, e non potevano cedere sulla quistione del sale. Il 15 novembre c’era un incaglio. Il cardinale Bessarione prometteva a Venezia duecento uomini d’arme triestini per l’impresa della Morea. Rispondeva il Senato che non li chiedeva e non li voleva. Continuava tuttavia a trattare, accordando non si parlasse dei due luoghi e il sale si producesse, col patto che quanto fosse più del consumo locale dovesse essere venduto a Venezia, al prezzo fatto dalle città istriane. Il 17 novembre il trattato era compiuto. Domenico de Burlo e Antonio de Leo, in San Giorgio Maggiore, alla presenza del cardinale