230 VITTORIA DELLA PARTE ANTIVENETA Da notizie posteriori si dovrebbe arguire fossero della parte amica dei Veneziani uomini della classe dirigente e altri delle professioni libere e delle arti; partecipassero invece alla seconda un’altra frazione dei nobili e la plebe. Il sopravvento dell’una o dell’altra parte determinava ben s’intende la politica del Comune e v’era rapido avvicendamento nella successione dei partiti al potere, come ovunque in Italia. Dal 1358 al 1367 fu il turno dei veneziani: l’anno 1367 gli avversari ebbero il loro giro di ruota. Onde si ritornò, dopo il regime di Nicolò Polani, alla chiamata d’un podestà friulano, Nicolò di Prampero. Il che dev’essere avvenuto come conseguenza d’un conflitto interno, come violenta prevalenza della parte antiveneziana sull’altra. Vi devono essere stati tumulti, contese e bandi, poiché l’anno 1368 si trovano dichiarati banditi dal Comune tutti i Triestini che erano stipendiarli di Venezia e con essi altri che si protestavano fedelissimi della Repubblica e che stavano a Venezia, a Treviso, a Capodistria, a Isola e nelle diverse terre istriane. Erano Astolfo Peloso, suo fratello, un suo amico, Bertono de Franco, Domenico Scalzo, Colando de Scolana, Ber-tono di Nicolò, un Servulo e altri. Perché questi fatti? Influenza del Patriarca Marquardo, che spingeva attivamente la sua ambizione politica? Del Carrarese, che sobillava quanti più poteva contro Venezia? Speranza di poter rovesciare per sempre i rapporti con Venezia e ottenere a questo scopo l’aiuto dell’imperatore, che si preparava a scendere in Italia con probabile vantaggio del Patriarcato aquileiese? Potessimo rispondere con certezza a queste domande, quanti punti oscuri della storia triestina dell’ultimo periodo del Trecento ci si rischiarerebbero! S’è parlato molte volte di gelosia verso la grandezza di Venezia, di cui avrebbe sofferto Trieste e che l’avrebbe spinta in braccio ai suoi nemici e alla guerra contro di essa. Si è parlato addirittura di gelosia veneziana contro il commercio triestino. Ma ciò è puerile, poiché tale e tanta era la sproporzione tra la pusilla statura del nostro Comune e la formidabile, vasta e imperiale città dei Dogi e tali e tante le possenti ragioni della veneta grandezza, finanziarie, politiche e militari, non realizzabili — nemmeno una — a Trieste, che la comparazione tra l’una e l’altra o la gara degli interessi, che sole avrebbero potuto generare gelosia, erano escluse persino dai sogni dei Triestini più folli. La grandezza di Venezia non si faceva sopprimendo e