SIGNIFICATO DEI DOCUMENTI 75 Si tratta sempre di una sola e medesima chiesa, che si dice di Maria e di san Giusto (la basilica di Aquileia si chiamava allora di «Maria e di sant’Ermacora», quella di Murano di «Maria e di san Donato», ecc.) ovvero di san Giusto ovvero ancora di Santa Maria. Non vi sono due chiese: meno ancora una chiesa maggiore, un duomo dedicato esclusivamente alla Vergine. Sì invece una chiesa unica, un duomo unico intitolato a san Giusto ben prima che il Pedrazzani nascesse. È assurdo pensare, come hanno fatto il Kandler e gli altri, che la diocesi, la cattedrale, la città stessa riconoscessero nel nome di san Giusto l’espressione più alta dei loro valori religiosi e morali e il santo fosse sepolto e venerato non nel duomo, ma in una piccola chiesa addirittura ignota ai documenti. Nessuna carta, nessun fatto, nessun indizio giustificano tale arbitraria supposizione. Se la cattedrale fosse stata edificata nel xiv secolo, non vi sarebbe tra i documenti dei tempi più antichi e quelli del predetto secolo il compiuto riscontro, che invece esiste. Nelle carte del Trecento continuano ad alternarsi il nome di san Giusto e quello di Maria nel modo identico, in cui si alternavano nei documenti redatti tra il x e il xiv secolo. Nessuna, neanche minima traccia che la chiesa menzionata nei documenti del xiv secolo e detta non più di Santa Maria e di san Giusto, com’era l’uso più antico, ma di Santa Maria o di san Giusto e poi solo di san Giusto, come s’era usato già nel x e nel xm secolo, sia una chiesa nuova e diversa da quella menzionata con gli stessi nomi tra il 911 e il 1304. Ma c’è ben altro. L’Ireneo narra che, ai suoi tempi, nel 1652, rifacendosi l’altare maggiore della cattedrale, il vescovo Marenzi ritrovò sotto di esso tre cassette di reliquie e una pergamena. V’era scritto che il 4 novembre 1262 il vescovo Arlongo, assistito da altri quattro vescovi, aveva consacrato quell’altare insieme alla chiesa (dedicatum fuit hoc altare cum ecclesia & venerabile patre domino Arlongo Dei gratia episcopo et comite tergestino cum aliis quatuor episcopis). Il documento, la cui autenticità fu ingiustamente sospettata dal Kandler ed è invece attestata proprio dallo scrittore contemporaneo al ritrovamento, giaceva, come dicevamo, sotto l’altare maggiore della basilica, in capo all’odierna nave centrale: al posto dove l’aveva messo per memoria perpetua il vescovo Arlongo. E dà la testimonianza più diretta che quel-