374 ROVINA DEL REGIME COMUNALE La città fu organizzata, con elementi forestieri o addirittura stranieri, secondo il sistema austriaco. Il regime comunale fu stroncato compiutamente. Il Luogar fu capitano e si tenne il Pizzoli come vicario. Nell’amministrazione, come « vicedomini imperiali » furono messi due Tedeschi, Giovanni de Wassermann da Duino e Stefano Renck da Nor-dlingen. Alle dogane si pose il Tedesco Vito Perl, un farabutto corrotto. Furono cassate le cariche cittadine: stranieri furono messi ad amministrare la giustizia. Fu fatto un Consiglio di dodici persone, nominate dal capitano, tra le quali una parte fu straniera o forestiera, rifiutando i cittadini d’esservi annoverati. Nel maggio del 1470, a godere lo spettacolo della conquista compiuta, a prendere possesso della città e a tenervi corte di giustizia, venne lo stesso Federico III. Quasi si direbbe che Venezia l’avesse sollecitato. Nel settembre del 1469 il Senato aveva scritto all’imperatore annunciandogli che gli sbanditi e i fuggiaschi tramavano una nuova congiura contro il suo dominio: l’aveva assicurato altresì che la conservazione della città in soggezione della Maestà Sua gli era gratissima come se fosse stata in suo dominio. Federico, a cui resero omaggio in Trieste Veneziani e Friulani, volle affermare la sua decisa volontà di tenere la città così sanguinosamente domata. Egli pronunciò sentenza di bando e di confisca contro tutti gli esuli e l’indulto per gli avversari rimasti in città. Per tenere a bada la città ordinò che il piccolo castello fosse trasformato in grossa fortezza. Oppressi e sgomenti, i cittadini appena fiatarono. Ma una cosa unanimi domandarono: l’allontanamento del Luogar. Il bieco e feroce capitano, che grondava tanto sangue, non era sopportato nemmeno dai fautori dell’impero: egli era oggetto dell’odio generale. Federico dovette accogliere tale domanda e il Luogar fu licenziato e sostituito col Cernembel. Fu detto e ridetto che Raffaello Zovenzoni recitasse dinanzi all’imperatore un suo carme eccitante alla guerra contro il Turco. Ma è una invenzione del Kandler, il quale riferì a questo tempo, senza alcun motivo, una recitazione che lo Zovenzoni ricordò, in alcuni distici, fatta dinanzi a Federico, che va però riportata, senz’alcun dubbio, a altro momento. Infatti, come ricorda lo stesso Kandler in altro luogo, lo Zovenzoni fu tra quelli contro cui l’imperatore pronunciò a Trieste sentenza di bando perpetuo. Egli, che esaltava Venezia come sola speranza