XVII. ARTE E CULTURA NEL TRECENTO Generalmente si considera con un certo senso di compassione la eredità artistica e culturale lasciata dal medioevo e dal Rinascimento a Trieste, giudicandone il valore in rapporto alla grande città moderna e dimenticando che in quei tempi essa fu soltanto un magro e modesto comune. Nell’area inquadrata dalle antiche mura, secondo un calcolo del Caprin e altri più recenti, starebbero ora oltre 500 case con circa ventimila abitanti; ma oggidì quell’area è tutta occupata da abitati, mentre i documenti e le raffigurazioni grafiche della città medioevale provano che gran parte di essa era formata da spazi disabitati (bar eli), special-mente nella contrada detta di Castello e di Caboro, sul colle. Aveva forse più dei seimila abitanti calcolati da alcuni scrittori: pochi, in ogni caso, ai quali s’aggiungevano due o tremila al massimo nel suo territorio. Dice il Kandler che i Veneziani chiamassero Trieste per ischerno monte Barbasso: forse volevano motivare (per una parentela con barbassoro?) il contrasto tra le sue ambizioni e la sua esiguità. La città era piccola. E relativamente povera, priva di un esteso possesso fondiario e di case commerciali e di navi grosse e di grandi conventi e di altre formazioni capitalistiche, atte a incrementare un organismo urbano. La sua eredità artistica va dunque misurata su questi fatti. Calcolata l’entità e la strettezza economica del Comune medioevale, bisogna riconoscere che quanto di esso c’è rimasto d’arte e di cultura prova esservi stata anche nel campo della civiltà quella piena consonanza con la vita generale della nazione, che vi era nel campo politico. Certamente, Trieste, per quanto riguarda la civiltà, ebbe la sventura di non appartenere a Venezia: da ciò la sua inferiorità culturale e artistica di fronte alle città