RAGIONE DEI CONFLITTI CON VENEZIA 231 assorbendo un commercio esiguo come quello che era in corso a Trieste; questa esercitava tutti i traffici che la sua piccolezza (con tutto il « distretto » certo meno di otto-novemila anime), le sue modeste risorse capitalistiche, le sue poche navi e il suo retroterra semibarbarico e mai pacifico le potevano allora consentire. Se aveva una concorrente, questa era Capodistria, dove vigevano prezzi e sistemi veneti che erano preferiti dai mercanti stranieri a quelli del porto triestino. Ma una gara diretta d’interessi tra l’esile Comune marittimo, che, rannicchiato sotto i dirupi dei Carsi, teneva la quasi totalità dei suoi commerci proprio con Venezia, e la Repubblica, che commerciava con inesauribile ricchezza in tutte le parti d’Europa, d’Asia e d’Africa allora conosciute e pagava la sua potenza con fior di quattrini e rivi di sangue, è una concezione assurda e grottesca. Né appare mai, neppure indiziariamente, nei documenti. Se Trieste lottava contro Venezia, accadeva molto meno per la difesa della sua indipendenza e più perché prevaleva in essa l’una o l’altra delle tante forze politiche nemiche della Repubblica, che si spiegavano nella Giulia o scendevano giù dalle Alpi. La lotta fra le due fazioni in Trieste continuò durante il 1367 e passò all’anno 1368. Al cambiamento di « regime » però — marzo o aprile — la parte veneziana ebbe il sopravvento e fu chiamato podestà Marino Zeno da Venezia. Ma fu vittoria di un attimo: nel maggio la città era ribelle alle richieste di Venezia, segno che il podestà veneziano non v’era più: anzi appare che vi fossero solo i giudici con titolo di rectores. A calendimaggio giunsero a Trieste i commissari del nuovo Doge, Andrea Contarmi, per presentare il vessillo di San Marco. Nella sala del Maggior Consiglio, astanti molti cittadini, il nunzio del Comune, Eberlino, designato dalla città a tale funzione, poste le mani sugli Evangeli, giurò a alta voce che i Triestini sarebbero stati fedeli e obbedienti al Doge e al Comune di Venezia. Presentato però lo stendardo di San Marco, Eberlino e quanti erano nella sala rifiutarono di riceverlo. I commissari protestarono contro l’inadempienza dei patti. La Repubblica, fuori, sì, da ogni conflitto, ma circondata tutta da nemici e vivente in atmosfera di guerra, non andò di là dalla protesta, che serviva a evitare la prescrizione del diritto. Essa aveva bisogno di pace per non trovarsi indebolita, se un mutamento della situazione internazionale avesse fatto precipitare le tempeste che erano nel-