46 FORTUNATO COME VESCOVO TRIESTINO devoto e alla sua infinita passione politica che non al ministerio religioso, Fortunato aveva certo un nome già largamente conosciuto quanào dalla sedia di San Giusto ascese a quella di San Marco e di Sant’Ermacora. Non era uomo da aver tollerato la clausura nei brevi confini della sua diocesi. Se anche le carte tacciono di lui sino al momento della sua assunzione al patriarcato, la statura e la forza, che egli rivela appena comparisce, provano che è cresciuto in mezzo alle lotte politiche e che ha costituito la sua tempra nell’azione e nella luce, non nella pace episcopale, non nell’oscurità provinciale. È facile che egli abbia lottato per l’avvento del dominio carolingico a Trieste e nellTstria, abbia collaborato con Re Pipino e con i suoi duchi nelle lotte sostenute sui confini e di lì contro gli Avaro-Slavi, abbia partecipato alla conversione degli Slavi transalpini, di cui fu massimo autore il Patriarca d’Aquileia, e abbia congiurato col Patriarca Giovanni contro i Greci. Fu già ammesso da qualcuno che egli fosse noto a Carlo prima della sua elezione e che questa, di più, avvenisse per influenza diretta dell’ Imperatore stesso. Nel placito del Risano — di cui parleremo — furono ricordati molti doni e molti nunzi da lui mandati allTmperatore e al suo governo per propugnare i diritti della provincia istriana, sottomessa alle gravezze del regime feudale. Gli atti stessi del placito lasciano credere che, già prima dell’elezione patriarcale, Fortunato avesse raggiunto nella sua provincia una posizione eminente per l’opera svolta a grande beneficio della provincia medesima presso Carlo e presso tutte le autorità. Clero e popolo della diocesi di Grado lo sollevarono alla suprema carica o alla fine dell’802 o al principio dell’803: il 21 marzo dell’803 Papa Leone III gli mandò la conferma e il pallio. Fortunato si mise tosto all’opera per vendicare politicamente il suo consanguineo e per rovesciare i Dogi, che erano fautori dei Greci. Scoperta la congiura, egli, a capo d’un gruppo di Veneti suoi aderenti, uscì dalle Venezie. Lasciati i suoi a Treviso, andò diritto all’imperatore Carlo, ch’era a Selz, portandogli ricchissimi doni, tra cui due preziose porte scolpite d’avorio, e lo invitò a prendere il dominio delle Venezie e ad aiutare l’opera politica sua e dei suoi partigiani.