326 RISOLUTA DIFESA DELLA SOVRANITÀ COMUNALE il candidato triestino da presentare al capitolo per la successione. Né più né meno che un tentativo di sottoporre alla sovranità politica l’autorità religiosa, quale osavano fare gli Stati più potenti. Affinché tale ardita postulazione avesse più plausibilità di essere accolta, la Balìa incamerò i beni vescovili e dichiarò ufficiali del Comune i suoi amministratori. Poi delegò tre consiglieri alla tutela di quei beni e cercò un dottore dei sacri canoni come vicario per il governo della diocesi. Così, violando il diritto ecclesiastico, la città affermava con estrema risolutezza la sua sovranità su sè stessa, attribuendosi un diritto concesso solo a alcuni prìncipi. Era una lotta di conservazione quasi istintiva: la città voleva che tutte le forze autorifative emanassero dal suo seno, sì che divenisse più resistente la sua costituzione, malgrado la sua posizione isolata. Invero, solo in questo modo era dato alla città di passare all’avvenire padrona di sè stéssa, libera di stranieri e italiana. L’asprezza, con cui il Comune sosteneva la sua pretensione per la nomina del vescovo, ingenerò nuove lotte, onde la sede rimase vuota per due anni. La « tregua di Trieste » ebbe la sua scadenza nel 1418, senza che si trovasse la pace: l’imperatore e Venezia ripresero la guerra. Il duca Ernesto, per mezzo del capitano, ordinò al Comune di mantenere la più Stretta neutralità. Il Consiglio maggiore non rispose al capitano, ma, rinnovata la Balìa e portata a dieci Savi, le affidò lo studio della situazione. Questa, d’accordo coi giudici, deliberò poi la neutralità. Nel settembre ingiunse ai cittadini che niuno si recasse al servizio dell’imperatore, né a quello della Repubblica veneta. La città rimaneva rinchiusa nel suo mero egoismo. . Alla fine del 1419 e nei primi mesi del 1420 il vessillo di San Marco incominciò a essere levato nei punti più vicini di Trieste: lo dovevano vedere, quasi, dalla città, a Monfalcone, a Duino, a Muggia. Ma la città non aveva più nulla a temere da San Marco, perché i duchi d’Austria erano amici della Repubblica e non le negavano aiuti. Essa, allora, non avrebbe mai toccato i loro dominii. Tuttavia, quando, nel giugno del 1420, l’esercito veneziano di Filippo Arcelli si raccolse a Monfalcone per recarsi in Istria, il Consiglio maggiore decretò che bisognava habere bona custodia alle porte e nelle piazze e ordinò alle frataglie e ai cittadini di mettere in ordine le armi, concedendo pieni poteri ai