II AL NIDO DELL’ “ AQUILA ’ ’ opo la recente mortificazione di Adua, l’Italia si affer- mava terra di vivi nella virtù dei due giovani Aosta: con la piccozza di Luigi e con la spada di Vittorio Emanuele che aveva vendicate le stolte offese francesi ai nostri prigionieri in Abissinia. Il Conte di Torino era stato accolto entusiasticamente al suo ritorno in Italia, e all’affettuoso telegramma che ricevette dallo zio Re se ne aggiunsero infiniti altri fra i quali sopra tutti significativo quello di Giosue Carducci: « Mi permetta Vostra Altezza di salutare commosso e plaudente il valoroso campione dell’esercito e vindice del nome italiano ora e sempre ». Il Duca e i suoi raggiunsero New York per la via del Canada; quindi, attraverso l’oceano, la spedizione toccò Londra e si sciolse. Eccitato da quel primo successo, turbato dall’ansia di rivedere l’amata, Cagni viveva giornate sentimentali: aveva l’animo in fermento. Durante il ritorno dal-l’Alasca aveva appreso del temerario volo di Andrée sul-1’ “Aquila” e della misteriosa fine dei leggendari argonauti. Quell’impresa tragicamente eroica fece germogliare a poco a poco nella mente del Duca il proposito di un altro volo o di una spedizione in slitta verso il Polo Nord. Anzi il Principe ne aveva accennato vagamente a Cagni, il quale si senti fin d’allora destinato alla nuova impresa e, agitato dal contrasto fra le due prospettive dell’amore e della gloria, quasi temette il ritorno e scrisse alla mamma di Maria: « L’eccitazione del trionfo non calma per nulla lo spasimo che provo avvicinandomi all’Italia. Non so bene e non oso scrutarmi a fondo, ma parmi che sarei quasi contento di allontanarmene ». Arrivarono in patria in settembre diretti a Monza per ossequiarvi il Re e la Regina, quindi a Stresa per salutare