IV. I PATRIARCHI GIOVANNI E FORTUNATO Fosse arrugginito l’organismo del numerus dopo un lungo secolo e mezzo di vita e di relativa pace o avesse la potenza nemica potuto prevalere più facilmente dopo la cacciata dei Greci da Ravenna, Trieste — e con essa l’Istria — caddero nelle mani dei Longobardi. L’anno 752. Poi rimasero a essi, anche quando i Carolingi ebbero riacquistato e consegnato l’Esarcato al Pontefice romano, a cui avevano promesso parimenti lTstria. Il nuovo dominio, che portava con sè l’imposizione di nuove leggi straniere e pesanti sulla regione, in cui l’impero greco aveva rispettato gli antichi ordinamenti romani e municipali, fu accolto con odio fomentato dal clero, a cui il regime toglieva molti privilegi, come aveva fatto nel resto delle Venezie. Da quasi centocinquant’anni il numerus era stato in armi contro i nefandissimi Longobardi, perché la sua terra non diventasse parte della servilis Italia, come si chiamava quanto di essa era soggetto a quella gente. Ora la servitù l’aveva raggiunta. Una grande figura si leva nel fondo oscuro di quel periodo. Ed è Giovanni, Patriarca di Grado, natus Istriae Tergestinae civitatis, come dice la Cronaca altinate. Una leggenda, raccolta dall'Ireneo e anche da alcuni scrittori moderni (dal Kandler al Babudri), attribuisce il Patriarca Giovanni alla casa degli Antenorei, la stessa a cui avrebbero appartenuto Obe-liero e Beato, Dogi di Venezia, e che qualche antica cronaca avrebbe annoverata tra quelle venute da Trieste a Venezia. Certo è difficile negare con sicurezza, ma è altrettanto difficile provare la storicità di