I IL SENATO VENETO RIFIUTA L OFFERTA 371 stimava di non poter accogliere l’offerta, il Senato almeno si degnasse prestare alla comunità triestina favori segreti, aiutandola con munizioni, con genti e con danaro, mentre s’apprestava all’estrema resistenza. La sconsolata e commossa orazione di Cristoforo Bonomo, il cui calore emana anche dal gelido protocollo del Senato, non ebbe successo. Poiché, non solo era lontano dal cercare quistioni con l’imperatore, ma anzi, causa la difficile situazione internazionale della Repubblica, era disposto a fargli qualsivoglia piacere, il Senato respinse l’offerta della città e rifiutò i chiesti soccorsi: « Invero — diceva la risposta — per tutte quelle ragioni e per quei rispetti che lo stesso Cristoforo ottimamente capisce, non vediamo come potremmo impigliarci in quell’argo-mento con nostro onore e vantaggio ». La sentenza di morte era pronunciata. D’accordo e per volontà dellTmperatore, il Luogar, l’Ellacher e il Cernembel avevano già raccolto stipendiarli tra gli Slavi e i Tedeschi della Carniola e delle terre subalpine. Nel luglio un esercito di tremila mercenarii s’era avanzato verso il mare e, agli ordini di Andrea von Dietrichstein, il 19 luglio s’era adunato non lontano da Trieste. Alla fine del mese tutte le forze straniere erano allineate per assediare la città o per espugnarla d’assalto. Intanto s’era già piantata una bastita sul monte di San Giacomo. La città giunse alla disperazione. Il Comune, che aveva già impegnato presso gli Ebrei l’oro e i gioielli tolti al Luogar, si era fatto consegnare i vasi sacri e tutte le argenterie delle chiese e aveva mandato, col Bonomo, uno dei Toffani a Venezia, affinché cercasse denaro sufficiente a assoldare mercenarii e a organizzare la difesa: doveva trovare un prestito, impegnando quei tesori più santi della città. Ma il Toffanio fu altrettanto sfortunato quanto il Bonomo. Poco, ma più fortunati furono gli ambasciatori mandati a Civi-dale: essi si presentarono a quel Comune il 25 luglio e chiesero trecento ducati in prestito e aiuto di gente «per recuperare la libertà offesa dai Tedeschi coll’edificare una bastita sul monte di San Giacomo ». Alcuni Cividalesi (Marino, Nicolò Claricini, Nicolò Zenoni, Antonio Puppi, Lovisino da Crema, Nicolò da Ragogna) misero assieme duecento ducati : cento ne aggiunse il Comune, scusandosi di non poter mandare soldati, perché ciò « sarebbe spiaciuto alla Serenissima ».