322 TENTATIVI CONTRO M UGGÌ A del mare, che San Marco si meritava con incessanti sacrifici e con ostinata volontà di potenza. La lotta per la conservazione del reggimento comunale autonomo, quasi di repubblica vassalla, e quella per attrarre i mercanti del retroterra nel suo porto e farsi un commercio, sono i caratteri principali della storia triestina dopo il 1382 sino ai tempi moderni. Incominciò a lottare contro i capitani del duca, i quali, a onta della loro promessa, preferivano stare a Corte o nel castello di Duino: vi furono liti e contese e il Comune tagliò qualche volta gli stipendi. Nel 1398 delegati a ciò due procuratori, Odorico de Teffanio e Valesio de Ereurico, il Consiglio maggiore iniziò processo contro il vicecapitano Mixe Weixenstein per prevaricazione. Coi duchi le relazioni del Comune divennero sempre più molli, conservando esso quanto più poteva della sua sovranità. Nel 1401, Pietro degli Stoiani, bandito dal Comune, ricorse al duca Guglielmo. Questi tentò invano di far rientrare il « suo fedele » in città: gli dovette scrivere di rassegnarsi al bando. Il Comune, che conservava completa libertà nella sua politica estera, pensò allora anche di allargare il suo territorio. Ciò gli avrebbe dato maggiore importanza negli affari della Regione veneto-giuliana e migliori possibilità di resistenza nell’ordinamento municipale. Nel marzo del 1397 vi furono malumori tra Muggia e il Patriarca Caetani: sembra che causa sieno stati i maneggi tramati dai Triestini per impadronirsi di quella città, dove avevano molti aderenti. Il conflitto durò oltre l’anno e s’aggravò: il 4 gennaio 1398 il Patriarca chiedeva soccorsi di fanteria a Udine « per tutela della terra di Muggia contro i Triestini». Probabilmente la parte presa da Venezia nella politica friulana e le sue mire su Muggia frustrarono l’azione, che in sè stessa prova quanta vigoria fosse nel Comune triestino. Nell’ottobre del 1382 il duca Leopoldo aveva « seriamente ordinato » al capitolo triestino di nominare vescovo soltanto persona a lui grata: aveva quindi imposto, come riconobbe già lo Scussa, un vescovo tedesco, Enrico di Wildenstein. Capitolo e Consiglio avversarono il vescovo straniero, che però aveva favorito nel 1383-1384 i patriarcheschi (fors’anche per questo), poi lo accusarono presso la Santa Sede di dilapidazione dei beni ecclesiastici. La sua permanenza a Trieste divenne a