l’isolamento della città 353 Triestini. Accordò tuttavia un prolungamento del salvacondotto ai loro oratori, mostrando ancora come non avesse alcuna intenzione di conquistare Trieste e nemmeno d’ingolfarsi in una spedizione, che sarebbe stata molto infesta a quella pericolosissima della Morea. Il 19 agosto gli inviati triestini ritornarono: ma fecero ancora proposte e insufficienti e dilatorie. E il Senato veneziano, il 20 agosto, benché l’Henderbach il 18 fosse intervenuto nel Collegio a favore dei Triestini e l’avesse invitato a guardare più allTmperatore che non a loro, rispose che non aveva più nulla da dire e che aveva già tutto detto. Decretò nello stesso momento di mandare due grandi galee, la Minia e la Basadonna, contro Trieste e di fortificare l’esercito per l’assedio. AllTmperatore delegarono il vescovo di Torcello. In breve tre corpi di esercito — secondo altri, cinque — stringevano la città sotto le mura. Erano da dieci a ventimila uomini, coi provveditori Iacopo Antonio Marcello e Vitale Landò, « dottore e soldato », e condottieri quali Bernardino da Montone, Carlo di Fortebraccio, Girolamo Martinengo, il Gavardo, il conte Angelo o Matteo di Sant’Angelo e altri. Gli accampamenti stavano alla fontana di Geppa verso Roiano, a Scorcola, lungo il torrente dove è oggi la via Battisti, in Chiadino, a San Vito e a Sant’Andrea. In mare le navi e quattro « marani » o pontoni con le grosse bombarde; batterie erano a San Vito, fuori porta Cavana e a San Giacomo. Dentro le mura i cittadini, quasi soli, sotto il peso del loro immancabile destino, animati tuttavia da un grande eroismo. Erano venuti duecento cavalli carinziani: poi più nulla. Gli sperati, gli invocati soccorsi rimasero pia aspettazione. Federico incitava Raspar Melz e altri vassalli carniòlici a mandare i loro uomini dentro Trieste, ma questi non si movevano, perché, dice il Dimitz, i mercanti del Cragno stimavano più utile a loro mantenere aperta la strada di Capodistria. Venezia combatteva anche a favore dei Carniòlici e questi se ne stavano a casa loro. Tutti quindi erano contro il disgraziato e protervo Comune triestino. L’Imperatore accoglieva benevolmente le spiegazioni del vescovo di Torcello e lasciava correre gli avvenimenti, del tutto indifferente alla sorte di Trieste e alieno al mettersi in impicci coi Veneziani, come questi al mettersi con lui. Fonti tedesche parlano di mille mercenarii imperiali mandati a Trieste. Una lettera di Hartwig Storia di Trieste, vol. I. 23