caratteri del nuovo dominio 259 riservava di più un tributo di cento marche d’oro, mai levato da Venezia. Arrogi che un vicedomino genovese fu installato nel palazzo civico, non con le funzioni d’un attuale console, ma come rappresentante d’una partecipazione e d’un controllo della Signoria genovese nel dominio friulano della città. Le navi del Maruffo lasciarono presto il porto: una galera portò via come trofeo il leone di San Marco che stava, probabilmente, sul castello alla marina (fìg. 50). Per legarsi meglio i suoi fautori, Marquardo incaricò ser Iacopo di Faedis di premiare coi beni tolti ai Veneziani quelli che da un suo severo esame risultassero veramente aver congiurato « con pericolo di morte » per dare la città ai Friulani e ai Genovesi. La prescritta severità dell’esame fa credere che molti, come avviene a ogni mutamento di regime, vantassero falsi meriti verso il vincitore. Forse tra i veri congiurati erano quel Cristoforo de Sobogna e quel Servolo Domini, che alcuni mesi più tardi tentarono di penetrare a mano armata nelle carceri per estrarne il Tron e altri Veneziani che ancora v’erano, gridando che quei prigionieri spettassero a loro: nacque un tumulto e i due, che forse non erano soli, mentre si tentava arrestarli, si ribellarono rivolgendo l’arme addirittura contro il capitano e i suoi famuli e ferendo ser Antonio dell’Argento; onde furono presi e condannati. Naturalmente le condizioni firmate tra la città e il Patriarca avevano valore soltanto se il corso della guerra e la pace non disponevano altrimenti. Il Patriarca morì nel gennaio del 1381, in pieno conflitto. Poi gli avvenimenti resero nulle parecchie delle clasuole sotto-scritte nell’episcopio triestino. Venezia non riuscì a riprendere Trieste. Quelli che la tenevano temettero di sentirsela addosso nell’agosto e nel dicembre del 1380, per cui chiesero viveri e armi a Udine, che poco potè mandare. Vettor Pisani infatti aveva preparato le galere e tutte le macchine per andare al recupero della città perduta. Ma, mentre moveva verso di essa, avendo appreso che la flotta genovese era in Arbe, mutò rotta e andò in cerca dei nemici maggiori. Nel febbraio del 1381 nuove minaccie si erano addensate nella città: Iacopo Balardi girò il Friuli cercando soccorsi. Nel marzo Udine,