284 LA VIOLENTA REPRESSIONE DELLA RIVOLTA doti furono tirati fuori dall’episcopio: mastro Benvenuto li pose ancora ai tormenti e poi li appese alle forche. Ignota è la sorte di alcuni canonici, tra i quali Domenico Miani, Giulio Cognez, Giorgio Nabiavez e Michele Pace, che, nel 1384, spariscono improvvisamente dal novero dei capitolari. L’arcidia-conato fu largito a Nicolò Tromba, che pare figlio di quel ser Antonio di Domenico, che nel 1382 era andato a Graz. Dobbiamo procedere da supposizione a supposizione, perché i documenti di quei giorni sono insieme avari e ironici. Sappiamo quanto costò la custodia dei prigionieri, quanto si spese per i facchini che portarono il legno per fare le forche, persino quanto costarono i chiodi per quei patiboli, quanto la correggia con cui vennero trementati i « traditori », quanto il vino che fu dato a mastro Benvenuto. Sappiamo che i compagni del conte abitarono all’osteria di mastro Rigo e quanto vi spesero. Ma non abbiamo potuto trovare, in queste stesse carte, nemmeno in un accenno, quale sia stata veramente l’azione per la quale i sacerdoti furono accusati di tradimento e giustiziati. C erto, la presenza del conte Ugo e la strage valsero a rimettere in pace la città. Essa non era tuttavia tranquilla. Nelle settimane in cui imperversò la «grande tribolazione», essa fu in armi. Anzi armò anche i contadini e pose guardie e difese in tutto il distretto. Temeva un attacco. Si diceva poi che Francesco di Carrara volesse muovere il suo esercito contro Trieste: si doveva temere la sua vendetta e per il tradimento subito nell’alleanza e per la strage degli aderenti suoi e del Patriarca. Nell’agosto la città fece in fretta degli armamenti e mandò Lazzaro Gasparini, Nicolò de Brizio e il tedesco Giovanni a spiare le mosse del Padovano. Il quale però nulla fece e nulla potè fare per gli accordi intervenuti ormai col duca Leopoldo. Il partito patriarchesco si trovò così ridotto all’impotenza. Il vescovo Enrico, rifugiato a Cividale, fece pace col conte Ugo e lo liberò dalla scomunica. La tranquillità riprese stanza nella città. Vi ritornò il predetto vescovo, che, nel 1385, riconsacrò il duomo di san Giusto, sia perché in qualche episodio delle sanguinose lotte era stato profanato, sia perché si volesse unificare nel nome di Maria il suo titolo, desiderandosi eliminare quel nome di san Giusto, che come patrono era insieme il gonfalone del Comune e della sua libertà.