LA SUPREMAZIA DI SAN MARCO 217 Vitando e altri. Venezia ebbe completa vittoria e sui Capodistriani e sul Goriziano. L’esempio della sorte subita dalla città istriana e la straordinaria energia che la Repubblica aveva allora mostrato nel vincere i Dalmati, nel battere il Re d’Ungheria e nel regolare con Genovesi e Turchi le quistioni d’Oriente, produssero il loro effetto su Trieste. Essa comprese che non v’era altra possibilità di pace e di benessere se non nella pacifica accettazione della supremazia veneziana, tanto più che dalla Repubblica, da cinquantanni, i Triestini non avevano avuto altro che benefìzi e nessun danno. Può essere che la vittoriosa e tortissima politica di Andrea Dandolo, che conosceva Trieste per esservi stato podestà e vi aveva amici essendo stato tra i vassalli del vescovo, abbia offerto l’occasione di ottenere il sopravvento al partito fautore di Venezia. Vi dev’essere stata anche una tensione politica o un conflitto con la Repubblica, perchè nel 1350 si ricordava come cosa recente una pace fatta tra il Comune di Venezia e il Comune di Trieste. Dal 1349 sino al 1356 non ci sono che podestà veneziani. Insieme a due di questi il Comune compì l’opera capitale della revisione degli Statuti; sotto il regime di un altro combattè fortemente contro nuovi attentati 'del vescovo. Gli Statuti nella compilazione del 1318-1319 erano confusi e spesso facevano vacillare i giudici nella loro interpretazione. Perciò il podestà Zanino Foscari, ritornato nel 1349 a Trieste, si accordò coi giudici della città, Quagliotto di Bonomo, Enrico Ade e Ottobono de Giuliani per compilare nuovi, più chiari e più completi codici. Furono chiamati a collaborare Antonio de Lanfrancozzi, modenese, e Nicolò del Ferro, parmense, vicarii del penale e del civile, nonché una commissione di sette cittadini, Amizone Masculo, Giusto dei Giudici, gran fautore di San Marco, Alberico dei Basili, Ettore de Canciano, Piero dei Gretti, Andrea Pace e Bartolomeo Gremon. Il lavoro fu continuato durante tutto l’anno 1350, sotto il regime dell’onorevole podestà Marco Dandolo. E quando quella che si chiamò la correzione degli Statuti fu compiuta, il nuovo testo fu reso pubblico alla presenza dei giudici e del Consiglio maggiore, che giurarono fedeltà al Doge e al Comune di Venezia.